Le abitudini sono dure da far ripartire. Tornare felici non è mai facile, non come si pensa quando si è infelici. Forse è quello che è successo a Marko Arnautovic, 32 anni e un cognome vagamente lunare. Ha padre serbo, madre austriaca ed è per questo che all’Europeo fa l’attaccante per l’Austria. Arnautovic è il primo giocatore squalificato all’Euro del 2021, un turno, niente partita di ieri sera, contro l’Olanda.

TUTTA colpa della gara d’esordio, quella vinta dagli austriaci domenica scorsa, contro i macedoni del nord. Marko doveva festeggiare come se avesse ricevuto una Ferrari nuova di zecca, ma era infuriato come se avesse scoperto un mattone al posto del motore. È andata più o meno così: Arnautovic si era da poco alzato dalla panchina, una buona occasione per dare un’altra svolta a una carriera che lo aveva visto troppe volte seduto sull’altalena. Infatti lui sfruttava l’occasione segnando il gol del definitivo 3-1. Per poi far esplodere la sua gioia come (forse) fa chi è stato infelice: insultando un avversario, Ezgjan Alioski. Al macedone avrebbe ricordato le sue origini albanesi, per poi aggiungere un’offesa sessista rivolta alla madre. Mentre Arnautovic gridava nessuno capiva bene cosa stesse accadendo, né in campo, né sugli spalti dell’Arena Nationala di Bucarest, né a casa davanti allo schermo. I compagni austriaci correvano da lui per abbracciarlo, ma sceglievano subito dopo l’opzione due: tappare letteralmente la boccaccia dell’austriaco. L’Uefa, il governo del calcio europeo, nei giorni a seguire deciderà di squalificarlo per un turno, punendo le frasi offensive, escludendo «gli insulti razzisti». Così quel che resta è una gioia festeggiata con rabbia e la sensazione che le buone abitudini sono dure da far ripartire.

E che questo tempo malato abbia lasciato il segno lo hai anche ascoltato due sere fa, nelle prime parole di Manuel Locatelli. Il centrocampista azzurro che ha aperto la strada a un altro 3-0 italiano, il secondo di fila, sempre all’Olimpico, stavolta contro una Svizzera apparsa più organizzata della Turchia (sconfitta due giorni fa anche dai gallesi).
Dopo il primo gol Locatelli correva con le braccia alzate ad abbracciare il cielo. Incontenibile, spontaneo. A fine gara, dopo aver segnato anche il gol del 2-0 farà e dirà diverse cose, iniziando da una T come le mani per la fidanzata Thessa e il loro cagnolino Teddy che non c’è più. Poi sposterà, pure lui come Cristiano Ronaldo, la bottiglia che fa la réclame della Coca Cola, ma a caldo confesserà: «La pandemia mi ha aiutato, nel senso che l’anno scorso non credo che sarei potuto venire agli Europei». È il tempo malato che torna, nei pensieri e nelle parole.

LOCATELLI è stato il migliore in campo e gli hanno dato anche la coppa del man of the match (benedetto inglese, presente ovunque). Però, fin qui, è stato un altro il miglior giocatore dell’Italia. È un ex giocatore ed è un mare infinito di altre belle cose. Si chiama Gianluca Vialli, lo conoscono tutti e in questi giorni lo vedono tutti, anche di solito «gioca» defilato. È il capo delegazione dell’Italia, scende dal pullman e sorride a tutti gli steward, con un bel cappello che sembra gli sia finito in testa uscendo da un fumetto di Andy Capp.
Vialli resta defilato anche in panchina, alle spalle del suo amico commissario, Roberto Mancini. Ma se lo cerchi con gli occhi, ti accorgerai che appena può applaude felice.
Tre anni fa, in un libro, Gianluca ha raccontato anche la sua sfida contro il cancro. Il titolo è: Goals. 98 storie +1 per affrontare le sfide più difficili. Leggetelo, con la speranza nel cuore, non con la tristezza negli occhi. Vi ricorderà che la vita è bella, abituarsi all’idea sarebbe un peccato.