Partita di Sanremo, la tappa, classificata come di trasferimento, fa in direzione inversa il percorso di tante canzoni di Paolo Conte, e si butta verso l’entroterra, con destinazione Cuneo. Non fa bene l’aria di quasi casa al francese Bardet, costretto a risalire in ammiraglia per un virus allo stomaco che gli impedisce, letteralmente, di pedalare. Col ritiro di Bardet il Giro non perde solo un solido pretendente alla rosa di Verona, ma anche il meno radiocomandato dei campioni. Allez Romain, torna a trovarci presto.
La notizia è più che altro questa, anche perché il dominio di Démare nelle volate non fa più notizia.

La corsa vive di una fuga dai nomi composti, Prod’Homme, Van den Berg, Enkhoorn, accompagnati dal più semplice Maestri.
I quattro battistrada sono raggiungi proprio all’ultimo chilometro, dove il gruppo arriva ad andatura forsennata. I gregari dei velocisti sono stremati dalla lunghissima rincorsa, e così Démare è costretto a partire lungo, ma nessuno ha la forza di rimontare, e il francese trionfa sul traguardo a braccia alzate. Nemmeno Napoleone, tra i francesi, era riuscito ad espugnare Cuneo.

Ci è riuscito lui. Da Sanremo partiva la tappa e da Sanremo riparte sempre la stagione del ciclismo. Per i corridori e per noi che siamo al seguito l’anno inizia per San Giuseppe invece che per San Silvestro, con le frittelle di riso al posto del panforte. È passato un tempo in cui questo era ancor più vero, perché negli anni del ciclismo degli eroi, e poi ancora per svariati lustri, era qui in riviera che si radunavano le squadre. Non era più l’epoca dei pionieri, quando Luisòn Ganna svernava in officina per arrotondare, e non era ancora quella delle assurde corse di gennaio negli emirati, degli stage in altura e delle camere iperbariche per ossigenare artificialmente il sangue.

Allora, sull’esempio dei francesi (i primi ad inventarsi i concetti di “ritiro” e “preparazione”), i corridori venivano qui a pensione con l’anno nuovo e con la squadra nuova. C’è persino chi, Gimondi, qui a due passi, a Diano Marina, durante uno di quei rituali propiziatori ci ha trovato la compagna di una vita.

Qui iniziava la stagione nuova e qui iniziò l’Italia nuova. Da quando si può parlare ufficialmente di dopoguerra, in un paese ancora, alla lettera, in macerie, se non dal giorno di San Giuseppe del ’46, quando il nasone di Coppi passò davanti a tutti sul Turchino e nessuno lo rivide più fino al traguardo di Sanremo, tutto solo, talmente solo che Niccolò Carosio dovette annunciare musica da ballo per il successivo quarto d’ora, in attesa dell’arrivo del secondo? È proprio qui, tra i muri a secco e il mare, che c’è la culla del ciclismo.