Sempre più in bilico la posizione di Nikol Pashinyan, il premier armeno, dopo la sconfitta nella guerra con l’Azerbaigian sancita dal cessate il fuoco del 9 novembre. Da ieri mattina decine di migliaia di manifestanti, venuti da tutti i quartieri di Erevan, stanno assediando il palazzo del governo chiedendo non solo le sue dimissioni ma anche la rimessa in discussione degli accordi di pace. I 17 partiti che compongono il vasto spettro dell’opposizione hanno dato un ultimatum a Pashinyan perché si dimetta entro mezzanotte prima di iniziare la raccolta delle firme dei parlamentari per procedere al suo impeachment.

E PER ORA LA FOLLA HA DECISO di presidiare la piazza notte e giorno, consumando i riti collettivi dei canti nazionalistici e delle parole d’ordine di revanche. Il dato politico più significativo è che anche il Karabakh sta scendendo in piazza contro l’armistizio. Ieri , tanta gente, soprattutto donne, hanno manifestato nelle strade di Stepanakert. Naira Avetisyan residente a Martakert è decisa a lottare ancora: «Le donne di Artsakh sono sicure di essere state tradite e private delle loro case, non vogliono partecipare ad alcun processo “di pace”, chiedono solo di riavere indietro le loro case, a Hadrut, Shushi, Karvachar, e in tutti quei territori che ora sono stati trasferiti in Azerbaigian» sostiene convinta ai microfoni di Sputnik Armenia.

 

Foto Ap

 

Si tratta di una situazione, quella determinatasi con il conflitto del Karabakh, che non troverà comunque facile appianamento neppure ora: le famiglie azere sfollate negli anni ‘90 rientrano nelle loro case ma sono quelle armene a dover mestamente abbandonare le loro.

IL PREMIER È SPARITO dalla circolazione ma continua a ripetere come un mantra attraverso le agenzie di stampa che «non c’erano alternative all’accordo». La sua posizione appare particolarmente debole in queste ore perché Mosca non sembra avere intenzione di fargli da sponda: i rapporti tra Pashinyan e Putin sono sempre stati all’insegna della diffidenza e un cambio della guardia a Erevan potrebbe non essere sgradito al Cremlino, a patto che venga confermato il cessate il fuoco.

 

Erevan, 11 novembre 2020 (Ap)

 

I vertici del Paese cercano una via d’uscita che non precipiti il paese nel caos. L’esercito che sembrava sostenere il primo ministro in carica appare ora diviso. Qualcuno nello Stato maggiore sta iniziando a sfilarsi e a pensare che debba essere salvato l’essenziale a fronte delle proteste che si levano a livello popolare, e Pashanyn debba essere sacrificato sull’altare della riconciliazione nazionale. Si tratta dell’opinione, per esempio, espressa dall’ex ministro della difesa dell’Armenia. Secondo il militare «non è stato l’esercito a perdere la guerra e la responsabilità dovrà essere assunta dall’attuale leadership politica».

ALLA FUORIUSCITA SOFT di Pashinyan sta lavorando anche l’influente Chiesa cristiana di rito apostolico. In un colloquio tra il capo del clero Gareghin II – che non ha risparmiato critiche alla condotta di Pashinyan – e il presidente della repubblica Armen Sarkissian si sarebbe affrontato proprio il tema della successione ai vertici.

Chi resta invece un sostenitore dell’accordo di pace è il presidente del Karabakh, Arayik Harutiunyan il quale si scaglia contro coloro che stanno ora salendo sul carro di chi grida al tradimento: «Quei politici che cercano i traditori, raccontino di come hanno partecipato alla guerra e di come l’abbiano fatto i loro parenti e amici. I selfie, in questi casi, non contano», ha denunciato il capo dell’enclave armena.