Meriterebbe una specifica storia della ricezione il volume collettaneo curato da Arjun Appadurai, La vita sociale delle cose Una prospettiva culturale sulle merci di scambio (a cura di Gilda Dina, Meltemi, pp. 474, euro 25,00) punto di riferimento per un ampio spettro di discipline culturali, tanto da sollecitarne una traduzione integrale a oltre 35 anni dalla sua comparsa.

La ricchezza di prospettive disciplinari e la vasta copertura storica ed etnografica sono ingredienti non secondari della riuscita di questa impresa intellettuale. Ma non vi è dubbio che la sua forza persuasiva fa perno sulla proposta teorica e in particolare sull’energia speculativa del curatore, Arjun Appadurai, divenuto una stella di prima grandezza proprio in virtù di scatti teorici e incursioni visionarie nel mondo globale. Nella sua lunga introduzione Appadurai, qui trentasettenne, dispiega un arsenale concettuale ambizioso per sostenere una nuova prospettiva sulla circolazione delle merci nella vita sociale.
L’attacco mira in primis alla teoria del valore, che complice il Simmel della Filosofia del denaro, viene sganciato dalle merci e dalle condizioni di produzione e consumo per essere concentrato nello scambio e nella domanda: «il valore non è una proprietà intrinseca degli oggetti, ma un giudizio reso su di essi da parte dei soggetti». Lo scambio appaga il desiderio per un oggetto mediante il sacrificio di un altro oggetto, così che la vita economica si presenta essenzialmente come scambio di sacrifici.

Appadurai lascia poi Simmel alla sua analitica del denaro per seguire una strada alternativa: gli interessa concentrare l’attenzione sulle merci stesse, osservare i modi con cui vengono scambiate in specifici contesti culturali, le traiettorie che tracciano e i regimi di valore che le regolano. All’indagine partecipano attivamente i saggi di carattere storico ed etnografico che illustrano le poste teoriche, si tratti dei regimi di ostentazione nelle Salomone, della circolazione delle reliquie medievali, o della questione di autenticità per un tappeto orientale.

Una logica ne emerge: il flusso di merci è un compromesso mobile tra sentieri socialmente regolati e deviazioni stimolate dalla competizione: moda, leggi suntuarie o tabù, non diversamente dalle collezioni d’arte, sono strategie politicamente mediate di regolazione della domanda. A risultarne modificato è soprattutto lo statuto della merce: concentrandosi sulla sua intera vita sociale – dalla produzione, allo scambio, fino al consumo – la sua portata si precisa e si dilata: non si tratta di questo o quell’oggetto, né dei soli prodotti delle moderne economie industriali, ma di una potenzialità presente in ogni oggetto.

Passaggio, questo, sviluppato dall’influente saggio di Igor Kopytoff, La biografia culturale delle cose: il processo di mercificazione. A dispetto della consueta polarità concettuale, Kopytoff ritiene che si possa descrivere la vita delle cose in modo analogo a quanto avviene per le persone. Da studioso della schiavitù, fa notare che lo stato di merce contrassegna lo schiavo solo nel breve momento dello scambio; in seguito sarà infatti re-individualizzato entro nuovi contesti – una famiglia, la corte, una galera – e a volte sarà rivenduto oppure diverrà Gran Visir.

Allo stesso modo, le cose possono entrare e uscire dallo stato di merce secondo complessi intrecci di valori e di contesti che le costituiscono culturalmente e in cui giocano un ruolo istituzioni e individui.
La prospettiva si rivela altamente euristica: il mercato dell’arte e il collezionismo appaiono un modo di «singolarizzazione» di oggetti che li sottrae alla mercificazione, sebbene debbano saltuariamente ritornarvi; furti, saccheggi e razzie sono generali e mai interrotte pratiche di acquisizione di oggetti «di valore», che talora ne rendono più vivace la biografia – come accadeva per le reliquie – talora vengono occultate e solo più tardi animano controversie e rivendicazioni.

Nell’universale braccio di ferro fra le tendenze di tutte le economie a espandere la mercificazione e la tendenza di tutte le culture a limitarla, Kopytoff segnala alcune merci nuove, che provengono dal corpo umano e sono rese trasferibili da tecnologie mai viste prima: sangue, maternità surrogata, reni, sperma, ovociti. I criteri morali per regolarne la circolazione erano, e sono tuttora, un bel problema.