In una tersa mattina d’estate a Bologna è difficile immaginare di trovarsi in una delle zone più inquinate d’Europa, la Pianura Padana. Eppure è quello che emerge dall’ultimo report dell’Agenzia Europea per l’Ambiente. È qui che negli ultimi anni sono nate importanti iniziative di monitoraggio ambientale con il coinvolgimento diretto dei cittadini i quali, muniti di un kit apposito, agiscono assieme a un comitato scientifico per misurare e registrare i dati sulla qualità dell’aria.

Ne è un esempio la rete Cittadini per l’Aria, nata in Lombardia e che oggi funge da catalizzatrice delle nascenti realtà del nostro Paese impegnate nel proporre strategie per contrastare l’inquinamento attraverso la formula della scienza partecipata, in connessione con una più ampia piattaforma europea.
È da questa esperienza che è nata anche la rete bolognese Aria Pesa, ma con un obiettivo politico definito: dimostrare attraverso i dati l’impatto sull’ambiente e sulla salute di opere considerate dannose per il territorio, come il potenziamento del sistema autostradale-tangenziale di Bologna, la costruzione di un nuovo supermercato nel quartiere Cirenaica e quella di un grande outlet che andrebbe a decimare gli alberi del polmone verde della città: i Prati di Caprara.

All’appello, lanciato dai comitati B.e.c.c.o, Bologna Est Contro il cemento e l’ossigeno; A.MO, Associazione dei cittadini di Bologna per la mobilità sostenibile Onlus; Rigenerazione no Speculazione e appoggiato da numerose realtà bolognesi, hanno risposto in più di trecento persone, impegnandosi a collocare un rilevatore atmosferico nelle proprie vicinanze, registrarne i dati e consegnarli al coordinamento attraverso un formulario.
I rilevamenti sono stati esclusivamente relativi ai livelli di biossido di azoto (No2), uno degli inquinanti atmosferici (proveniente in gran parte dal traffico stradale) più presenti e maggiormente pericolosi, sia per la sua sua natura irritante, sia perché contribuisce al cosiddetto smog fotochimico nella costituzione dell’ozono.
I risultati, divulgati da pochi giorni, svelano una situazione sintomatica e tutt’altro che rosea, con uno sforamento dei limiti di legge (fissato in 40 milligrammi per metro cubo, ma l’OMS ha evidenziato l’impatto sanitario dell’inquinamento già a partire da 20 µg/m3) nel 50% delle postazioni.

Se ci aspettiamo che questo accada solo nelle strade a grande scorrimento ci sbagliamo: infatti, anche se nelle zone di traffico più intenso si registrano i valori più alti di No2, con picchi che eccedono del 15%, il bollino rosso non risparmia aree prossime a scuole e ospedali. Un’altra sorpresa è il centro che, a causa del cosiddetto effetto canyon, con cui lo smog si incanala nelle strettoie tra i palazzi, risulta una delle zone più critiche, mentre un abbattimento decisivo dei livelli si ha solo all’interno dei parchi più estesi.

Un dato fondamentale, quest’ultimo, che verrà impugnato dai comitati della rete bolognese per opporsi ai progetti invasivi della città, in particolare quello dei Prati di Caprara, che prevede l’abbattimento degli oltre 45 ettari di zona boschiva adiacenti all’Ospedale Maggiore per fare posto ad un polo commerciale.

Qui i rilevatori hanno mostrato chiaramente la differenza tra i valori registrati nelle zone in cui la vegetazione confina con la città, fra i più alti, e quelli dell’area centrale del bosco, che scendono nettamente al di sotto dei limiti.
Questo, come è visibile anche in altri parchi, indica che per ridurre l’inquinamento non bastano pochi alberi sparsi, ma è necessaria una fascia di vegetazione di una certa entità.

Il bosco, essendo un ecosistema complesso, è efficace nel fronteggiare la pressione ambientale a cui sono sottoposti i nostri centri urbani ed è ingenuo pensare di compensarne l’effetto attraverso la costituzione di semplici giardini. È per questo che la salvaguardia delle foreste urbane è ormai parte integrante dei programmi europei e internazionali per l’abbattimento delle emissioni, ed è supportata da numerosi studi, come quello pubblicato dalla rivista Nature, che dimostra come siano gli alberi più vecchi ad assorbire un maggior numero di Co2.
I dati della campagna Aria Pesa sono dunque preziosi indicatori dell’ambiente urbano e delle possibili soluzioni alle sue criticità, e dimostrano che il coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni che riguardano il territorio è rafforzato dalla conoscenza diretta delle cose.
Dopo essere stati confrontati con quelli di Arpa, che si è anche occupata di comprovare l’efficacia dei kit di rilevamento, i dati raccolti sono ora consultabili sul sito di Aria Pesa attraverso una mappa interattiva che andrà via via arricchendosi.
«Il confronto con i cittadini, con la loro conoscenza delle aree interessate e sulle quali sono in grado di fornire preziose informazioni aggiuntive, permette di acquisire i cosiddetti metadati e di definire un quadro molto preciso della situazione», spiega Francesco Luca Basile, professore di Processi sostenibili per la chimica e per l’energia presso l’Università di Bologna e coordinatore scientifico del progetto Aria Pesa. «È per questo che ora vorremmo divulgare questi dati nei singoli quartieri della città attraverso delle presentazioni pubbliche: la scienza partecipata è un modo per riappropriarsi degli strumenti di governo».