Quando a Buenos Aires, alle 9.51 ora locale, sugli schermi della Camera bassa è comparso, dopo oltre 22 ore di dibattito, il risultato della votazione sul progetto di legalizzazione dell’aborto – 129 «Sì» contro 125 «No» -, fuori dal Congresso la marea verde – verde come la speranza – di giovani e adolescenti che aveva vegliato tutta la notte malgrado le temperature rigidissime ha potuto finalmente dare inizio alla festa.

Fino all’ultimo, il risultato era stato incertissimo, mentre lungo i corridoi si consumavano febbrili negoziazioni. Eppure sarebbe bastato rivolgere lo sguardo alla Plaza del Congresso per capire dove batteva il cuore del Paese: una piazza che era stata divisa in due settori uguali, ma dove il verde dei manifestanti e soprattutto delle manifestanti – giovani, giovanissime e meno giovani – a favore della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza si era riversato come un’onda su tutto il quartiere, cancellando quasi il celeste degli antiabortisti. I quali possono contare però sull’aggressiva campagna della Chiesa cattolica, sicuramente assai più energica nella sua difesa della «vita dal momento del concepimento» che di quella delle vittime della dittatura militare o della feroce politica neoliberista del governo Macri.

In attesa del voto al Senato, dove la battaglia appare in realtà quasi disperata, essendo la maggioranza contraria alla legalizzazione, può comunque esultare il movimento Ni una menos, da sempre impegnato in difesa di tre rivendicazioni strettamente intrecciate: «Educazione sessuale per poter decidere. Anticoncezionali per non abortire. Aborto legale per non morire».

E a morire sono state in tante, in Argentina, dove l’aborto, punito con una pena fino a quattro anni di carcere, è stato finora concesso solo in caso di stupro o di minaccia alla salute della donna, e anche in tal caso in maniera non automatica. E dove le complicazioni dovute agli aborti clandestini – secondo un rapporto di Human Rights Watch, circa 500 mila ogni anno – costituiscono la principale causa di morte delle donne incinte. Incinte e povere, dal momento che chi può permetterselo ha comunque la possibilità di rivolgersi ai medici privati per un aborto chirurgico.

Ed è proprio per sanare tale situazione che 71 deputati appartenenti ai più diversi schieramenti politici hanno firmato il progetto di riforma, il quale prevede il diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito entro la 14ma settimana (e anche oltre in caso di stupro, di pericolo per la vita della donna e di gravi malformazioni fetali). Si è detto invece contrario il presidente Mauricio Macri, che tuttavia ha dichiarato che non porrà il veto se la legge dovesse essere definitivamente approvata.