«Non lo intendo come una sopravvivenza archeologica isolata che si sviluppa come cultura dominata in opposizione a una cultura dominante, ma come un fenomeno culturale vivo che corrisponde a determinate forme sociali, e che si trasforma o annulla in funzione di tale corrispondenza», così Violeta Parra riassumeva in poche parole, che contemplano persino i rischi di una dissoluzione del folklore nel tritacarne della società di massa, decenni di conflitti e contrapposizioni interne agli studi demo-antropologici e tra il filone di studi orientati alla popular music e l’etnomusicologia da museo. In realtà, la svolta è avvenuta sotto l’impulso dei cultural studies che hanno spinto in direzione di un approccio trans-disciplinare, quando si è cominciato ad osservare la cultura popolare all’incrocio tra le due accezioni di «folk» e «popular», e non più in senso divisionistico e contrapposto. Ma va considerato che in Sudamerica la ricezione stessa del pensiero di Gramsci, a partire dalle Osservazioni sul folklore, è stata paradossalmente più immediata e antecedente che in Italia. Mercedes Sosa, icona folklorica mondiale, che alla poetessa e cantante cilena si ispirò, si definiva, d’altra parte, una cantora «popular», ove è da intendere proprio nel senso stretto di «popolare»; il che non fa una piega, dal momento che era ella stessa di bassa estrazione sociale.
Tradizionale, orale, manuale, inteso come «fatto a mano», sono tutti termini che riconducono a «popolare», un altro modo di dire «primitivo», nelle società moderne, fa notare Néstor García Canclini, tra i maggiori studiosi sudamericani di intercultura e ibridazione, in un saggio dal titolo delatorio, Ni folklorico, ni masivo? Qué es lo popular? Ma con lo sviluppo della modernità, l’industrializzazione (anche della cultura), l’urbanizzazione, le migrazioni, il concetto di cultura popolare si sovrappone e si interseca con quello di cultura di massa, riformulando la relazione tra tradizione e modernità, tra le forme locali (di cultura, identità, socialità) e quelle promosse dalla tecnologia e dalla rete. In un mondo in cui, «ciascuno dei suoi punti locali è più simile ad un bazar kuwaitiano che non a un club di gentiluomini inglesi»(Geertz) come è possibile tracciare, dunque, un confine tranciante tra folk e popular?

ACUSTICAMENTE
Di seguito passiamo in rassegna alcune artiste argentine rappresentative di differenti modi di appellarsi al folklore ma parimenti ispirate al valore dell’indipendenza artistica. Mariana Baraj è la capofila di una generazione di donne fautrici di un folk contemporaneo di impronta più acustica. Proviene da una famiglia d’arte di Buenos Aires, ma il cognome suggerisce un’origine che è per metà russo-giudaica (paterna), e per metà romena (materna). Figlia del sassofonista e compositore jazz Bernardo Baraj, ha un fratello batterista con cui ha condiviso l’esperienza nel gruppo di rock alternativo, Catupecu Machu. Nel 2001 ha esordito come solista con l’album Lumbre e ha ricevuto di lì a poco il riconoscimento come rivelazione del folklore (2005). È stata vincitrice per due volte del prestigioso premio Gardel (2011, 2016) come miglior artista folklorica femminile. Baraj è compositrice, cantante, polistrumentista (charango e percussioni autoctone), produttrice. Si esibisce spesso in solo set con i bombos legueros e cajas costruiti da un mastro artigiano di Santiago del Estero di cui è testimonial; attualmente vive nella zona rurale nella provincia del Salta dove tiene corsi di percussione per le donne che abbracciano la sua estetica folk. Fondamentali nell’approccio alla sua discografia sono gli album Margarita y Azucena (Los Años Luz Discos, 2007) ispirato alla folklorista, compositrice, cantante, poetessa e musicologa Leda Valladares; Churita (Cardonal Records, 2010), il primo album con composizioni inedite, ma un ascolto va dato anche a Sangre buena (Suramusic, 2013), album in cui gli stili folk vengono delicatamente elettrificati. Sulla «tradizione» dice: «Il mio è un approccio diverso rispetto a ciò che si ascolta nel folklore, non è contro la tradizione o i tradizionalisti, è che mi viene così».
Il debutto di Gladys Sarabia è stato nel gruppo locale di cumbia tradizionale De La Tierrita, per poi entrare nella super orchestra La Delio Valdez di Buenos Aires, con lo pseudonimo La Negra. Di recente lo stimolo a gettarsi in composizioni autografe l’ha spinta ad avviare un progetto in proprio che ha battezzato La Walichera, nomignolo correlato all’etimologia della parola gualicho. Il percorso di Sarabia alla scoperta della cumbia si deve all’ascolto di cantanti come Etelvina Maldonado e Petrona Martinez. La Walichera ha all’attivo un album eponimo e un remix (autoprodotti), in cui si rintracciano radici africane ed elementi indigeni (el grito, la bulla), ma ha preso parte anche a progetti folk 2.0 assieme a King Coya.
Anche la ventottenne Sofia Viola è nata e cresciuta in una casa di artisti a Remedios De Escalada nei pressi di Buenos Aires. Papà trombettista, mamma ballerina e un fratello pianista che ora vive in Italia.
Globetrotter instancabile da giovanissima ha viaggiato in Perù, Bolivia, paesi dove ha accumulato le sue prime esperienze formative, musicali e di vita. È divenuta ben presto una stimata esponente de la canción che incorpora, nei suoi dischi, echi di tango, bolero, rumba, rock, pop, sperimentazioni vocali e dissonanze.
Autodeterminazione mista a uno spirito guascone fanno bella mostra in tutta la sua discografia che consiste di cinque album.
Titoli vagamente tangueri come Galáctica Y real (Munanakunanchej en el Camino Kurmi, Sonoamerica, 2010), e Menstruatango, Vómito crónico, Vomité mi lengua en el bidet, Ser tu perro sono pezzi «forti»”, dissacratori (in particolare l’album Parmi, Sonoamerica 2015, in cui sono contenuti questi brani-canción) di un repertorio (quello tanguero) notoriamente maschilista. Dal vivo si accompagna a vari cordofoni tradizionali.

ELETTROCUMBIA
Regina della nu-cumbia, La Yegros deve praticamente la sua fulminante carriera al compositore, produttore e polistrumentista King Coya, che l’ha scoperta durante un provino e l’ha introdotta nella rinomata scuderia ZZR con cui ha pubblicato l’album d’esordio, Viene de mi (Waxploitation, 2013).Con il secondo album, Magnetismo (Soundway Records/Audioglobe, 2016), in cui La Yegros si avvale ancora della collaborazione di Daniel Martin, ribadisce l’elettro-mezcla a base di cumbia, chamamé e altri stili folk locali che ha portato in giro in mezzo mondo, compresa l’Italia. Attualmente è al lavoro al suo terzo album tra l’Argentina e la Francia, dove vive a Montpellier. Timbro crudo e presenza scenica, estrema cura nei costumi che ricalcano gli abiti tradizionali, sono gli ingredienti si ritrovano nelle live performance de La Yegros, accompagnata da «camaradas de rebellion» (batteria, chitarra, fisarmonica), di prim’ordine. Miss Bolivia non ha velleità da mannequin, tutt’altro. María Paz Ferreyra si è data questo pseudonimo con l’intento di portare alla ribalta l’omonimo barrio in cui è nata e cresciuta. Lesbica dichiarata, si è sposata di recente con un investigatore che ha intrapreso il percorso per diventare rabbino; ma ci tiene a spiegare che l’equazione moglie-madre non fa sempre il paio. È femminista e attivista nella lotta per i diritti umani e dei mapuche.
Nella sua musica il ritmo spezzato della cumbia si fonde con l’hip hop, il reggae, il combat-rock. Il suo cavallo di battaglia femminista è Paren de matarnos (Pantera, Sony Music, 2017), un tripudio di chitarre distorte che si levano contro l’orrore del femminicidio. Ha esordito con un ep pirata nel 2008, poi ha firmato con Sony Music, mantenendo la sua attitudine indipendente. Senza peli sulla lingua in nome della contaminazione più estrema anche le Kumbia Queers. Un gruppo di sei ragazze, di cui una messicana, che suona una cumbia tropipunk orgogliosamente di stampo lgbt. I loro numi tutelari sono The Cure, Black Sabbath, Ramones ma anche Pablo Lescano dei Damas Gratis, con cui hanno collaborato. Hanno pubblicato finora quattro dischi, tutti in totale autonomia; l’ultimo è Canta y no llores (Horario Invertito, 2015). Il punk-folk ha le paladine che si merita.