Sergio Parisse, il più importante giocatore italiano degli ultimi vent’anni, detiene il record di presenze con la nazionale: 142 caps. Parisse, seppure italianissimo, è nato in Argentina e lì, nell’Universitario de la Plata, ha imparato a giocare a rugby prima di trasferirsi, non ancora ventenne, a Treviso. Martin Castrogiovanni, forse il più forte pilone destro nella storia del nostro rugby, è nato e cresciuto a Paranà e anche lui ha incominciato laggiù, nel club Atletico Estudiantes. Senza i calci e l’inventiva di Diego Dominguez, nativo di Cordoba, uno dei più forti mediani di apertura della storia del rugby mondiale, l’Italia non avrebbe mai conquistato i risultati e il credito necessari per entrare nel Sei Nazioni. Possiamo dire che all’Argentina dobbiamo molto, moltissimo. Per anni i loro migliori rugbisti hanno preso la strada per l’Europa. E portavano qualità. Alcuni sceglievano la Francia, altri l’Italia, in virtù di discendenze, storie di immigrazione e doppi passaporti; di meno quelli che optavano per le union britanniche – c’era pur sempre la questione delle isole Malvinas/Falkland che andava di traverso. La lista dei giocatori di formazione argentina che a partire dalla metà degli anni Ottanta hanno dato, a tutti i livelli, sangue e sudore al nostro rugby è lunghissima e copre tutti i ruoli in campo. Ho chiesto a Norberto “Cacho” Mastrocola, uno dei primi, nel 1985, a venire a giocare in Italia (prima a Brescia e poi a Livorno), oggi commentatore e producer televisivo, se questa lista ha un numero preciso, ma nemmeno lui è in grado di fornire cifre sicure: “Da 500 a 600, con beneficio di inventario”, mi ha risposto. Oggi nei dieci club impegnati che nel Top 10, il nostro massimo campionato, vi sono ben 39 giocatori di formazione argentina, una media di oltre quattro per squadra. Dall’altra sponda, basta scorrere i nomi dei giocatori della nazionale per trovare i nomi (tra gli altri Senatore, Lavanini, Matera) di tanti discendenti dei nostri immigrati che oggi vestono la maglia dell’albiceleste.

UN TERZO POSTO alla coppa del mondo del 2007, quarta nel 2015, a oggi l’Argentina occupa l’ottavo posto nella classifica mondiale. Nel 2020 è riuscita a vincere per la prima volta la sfida con gli All Blacks, in un match disputato a Sydney e valido per il Championship dell’emisfero Sud. La svolta verso il professionismo, imboccata nel 2015, ha giovato: oggi i Pumas disputano il Rugby Championship insieme a Sudafrica, Nuova Zelanda e Australia, e una franchigia federale, i Jaguares, è presente nel SuperRugby, dove è giunta in finale nel 2019. La domanda è inevitabile: perché l’Argentina è riuscita nella sua transizione al professionismo mentre l’Italia, nonostante ventidue anni di Sei Nazioni, è rimasta ferma al palo? Una possibile risposta è che il rugby argentino ha sempre avuto, a differenza di quello italiano, una sua chiara identità, un certo modo di interpretare il gioco. E non troverai intervista ai loro campioni nella quale non spuntino parole di riconoscenza per gli allenatori che li hanno formati: da Baires a Tucuman, da Cordoba a Rosario, le scuole di rugby funzionano bene. Quando incontri i Pumas sai già cosa aspettarti: un pacchetto di mischia fortissimo composto da astuti mestieranti che ti metterà addosso una pressione terribile e un reparto di trequarti che non concede distrazioni. Non c’è tregua possibile, quando incontri gli argentini. Sabato scorso la Francia ha dovuto sputare l’anima per venirne a capo con soli nove punti di scarto (29-20).

ITALIA E ARGENTINA si son affrontate 22 volte in sfide accreditate come test ufficiali. Il bilancio è impietoso: 16 sconfitte, 5 vittorie, un pareggio. Ultimo successo azzurro: giugno 2008 a Cordoba, quando finì 13-12. Tredici anni fa. E’ una storia di match conclusi di stretta misura, magari un penalty risolutivo nei minuti finali: i Pumas hanno sempre potuto contare su formidabili calciatori. L’ultimo incontro è del 2017 a Firenze, e finì 31-15, tre mete a zero e il chiaro sentore che la distanza tra noi e loro stesse aumentando. Il pronostico è tutto a favore dei nostri avversari. La nostra prima linea, già in evidente difficoltà con gli All Blacks, ha collezionato in tutto 24 caps, meno della metà di quelli del solo Julian Montoya, tallonatore e capitano. La loro seconda (Lavanini e Kremer) è un punto di forza sia per la presenza fisica che per la capacità di attacco. La terza (Isa, Gonzalez, Matera) è un branco di cagnacci pronto a mordere chiunque capiti a tiro. E questo è il pack. Dalla mediana in su si può provare a fare la partita, a patto di non concedersi pause e momenti di distrazione. Decisiva può essere la disciplina, punto debole dei Pumas. Si gioca nello storico impianto del Monigo di Treviso, vent’anni dopo l’ultima apparizione degli azzurri che vi batterono le isole Figi con un perentorio 66 a 10. Cinquemila posti, tutti al coperto. Rispetto al match di sabato scorso contro la Nuova Zelanda la formazione scelta da Kieran Crowley presenta cinque cambi: nella linea dei trequarti Edoardo Padovani e Luca Morisi prendono il posto di Federico Mori e Marco Zanon, nel ruolo di terza linea centro Giovanni Licata rileva Renato Giammarioli, in seconda c’è il ritorno di Niccolò Cannone con Fuser che si accomoda in panchina, e in prima linea c’è l’ingresso del giovane Ivan Nemer.

Italia: Minozzi; Padovani, Brex, Morisi, Ioane; Garbisi, Varney; Licata, Lamaro, Negri; Sisi, Cannone; Riccioni, Lucchesi, Nemer.

Argentina: Boffelli; Cordero, Moroni, De la Fuente, M. Carreras; S. Carreras, Cubelli; Isa, Gonzalez, Matera; Lavanini, Kremer; Gomez Kodela, Montoya, Gallo.

Diretta tv: Skysport 1 e Tv8, 14:00.