Con il via libera di ieri della Camera dei deputati, la legge per la legalizzazione dell’aborto non è sembrata mai tanto vicina.

Ci sono volute circa 20 ore di un acceso dibattito prima che, alle 7.23 ora locale, sullo schermo della Camera bassa apparisse l’esito della votazione – 131 sì, 117 no e 6 astensioni – accolto con un’esplosione di gioia dalla marea verde di giovani, giovanissime e meno giovani in trepida attesa fuori dal Congreso.

Quasi un déjà vu, considerando che anche nel 2018, sotto il governo dell’odiato Macri, la Camera bassa aveva detto sì (con 129 voti a favore e 125 contro) alla legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, prima che il Senato decidesse che le donne dovessero continuare ad abortire clandestinamente – al ritmo di 370-520mila casi all’anno – ed eventualmente a morire dissanguate. Soprattutto se povere, e dunque private della possibilità di rivolgersi ai medici privati per un aborto chirurgico.

Stavolta però, benché la battaglia alla Camera alta, dove il potere dei gruppi fondamentalisti è maggiore, si annunci combattutissima, le cose potrebbero andare diversamente. Anche perché il testo presentato al Congresso dal governo Fernández, che pure prevede il riconoscimento del diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito entro la quattordicesima settimana, appare meno avanzato rispetto a quello bocciato dal Senato nel 2018, prevedendo per esempio il diritto all’obiezione di coscienza del personale medico. Un punto fortemente criticato dai movimenti femministi, i quali temono, sulla base dell’esperienza di altri paesi, che l’introduzione dell’obiezione di coscienza offra un modo per svuotare l’applicazione della legge, generando ritardi e abusi e scaricando il peso del lavoro sui medici disposti invece a garantire il diritto all’aborto.