Si conosceranno alle 19,30 di domenica i primi risultati del ballottaggio, in Argentina. A quell’ora sarà emerso il responso delle urne, a cui sono chiamati 32 milioni di aventi diritto.

Daniel Scioli o Mauricio Macri? Il 25 ottobre, il candidato del Frente para la Victoria (Fpv) ha totalizzato il 36,86%, mentre l’oppositore e leader dell’alleanza conservatrice, Cambiemos, ha ottenuto il 34,3%. Un risultato inatteso dai sondaggi. La sconfitta più bruciante, per il kirchnerismo, è arrivata dalla provincia di Buenos Aires, suo bastione: una delle zone più povere del paese, che rappresenta un terzo dell’elettorato. Ma, proprio lì, l’Fpv ha lasciato il fianco scoperto, scegliendo di candidare Anibal Fernandez, capo di gabinetto della presidente Cristina Kirchner, sotto attacco per presunti coinvolgimenti con la criminalità.

Il campo conservatore non esibisce personaggi specchiati, ma in questo caso ha avuto gioco facile nel presentare Eugenia Vidal (che ha fatto man bassa di voti) come la candidata di prossimità. La grande stampa nemica di Kirchner, in primo luogo il Clarin, ha di fatto cavalcato e promosso il tema della corruzione, attizzando gli interessi di quella consistente parte della magistratura legata a vecchie strutture di potere e subordinata ai servizi segreti Usa e israeliani: inamovibili fino alla riforma avviata da Cristina Kirchner dopo la morte del procuratore Alberto Nisman.

Per incarico di Nestor Kirchner, Nisman indagava sul micidiale attentato alla mutua ebraica Amia, del 1994, ma era stato convinto a mettere sotto accusa la presidente per presunte coperture della pista iraniana. Nessuno dei due candidati ha evocato l’affare Nisman durante la campagna elettorale, ma di certo una vittoria di Macri stroncherà sul nascere ogni possibilità di infastidire Washington e i poteri vassalli. Il ritorno in forze del campo conservatore fa leva sulle debolezze del kircherismo e della società argentina: e cerca di approfittare della congiuntura generale, che vede il grande motore economico del continente – il Brasile – influenzato dalla battuta d’arresto cinese e ostaggio di equilibri parlamentari favorevoli alle destre.

In Argentina nel terzo trimestre di quest’anno, la disoccupazione risulta al livello più basso degli ultimi 28 anni, situandosi al 5,9%. Uno dei settori che più ha incrementato il mercato interno è quello delle costruzioni. Una tendenza favorita dagli indirizzi comuni decisi dai governi socialisti della regione e dai vasti piani per l’edilizia popolare messi in campo prima di tutto dal Venezuela (quasi 800.000 case popolari consegnate). Nei 31agglomerati urbani più importanti dell’Argentina, il numero dei disoccupati è sceso da 895.000 a 709.000 (dal 7,5 al 5,9%). La popolazione attiva è complessivamente passata da 11.897.000 a 12.049.000. Alla fine degli anni ’90, le politiche neoliberiste di Carlos Menem che avevano portato alla chiusura di molte piccole e medie imprese lasciarono una disoccupazione di circa il 20%.

Il «modello inclusivo», inaugurato prima da Nestor Kirchner e poi dalla presidente Cristina, ha portato il paese fuori dal baratro. E i risultati sono innegabili. Nel 2001, la popolazione prostrata dal default gridava alla classe politica: «Che se ne vadano tutti», affollando le piazze e non le urne. Oggi, anche in Argentina si è affacciata la «democrazia partecipativa» che già conta in altre parti del continente.

E che vuole dire la propria, anche manifestando il proprio scontento. Al primo turno del 25 ottobre ha votato oltre l’80% degli aventi diritto. Ora, però, il partito dell’astensione – per quanto poco significativo sul piano elettorale – rischia di penalizzare il campo progressista nel primo ballottaggio della storia argentina.

Scioli e Macri quasi pari sono, dice questa fetta di sinistra radicale, interpretando anche l’insofferenza di quelle aree alleate del kirchnerismo che hanno fin troppo digerito scelte poco commestibili nei vari territori politici, in nome dell’unità. Daniel Scioli è un imprenditore: come Macri. Entrambi sono figliocci dei Menem. La candidatura di Scioli cerca di parare i colpi al centro e a destra e di rassicurare i poteri forti, già scatenati contro Rousseff in Brasile. A loro, Scioli ha già promesso massima flessibilità nelle scelte economiche che contano per Wasghington: il Tpp e lo spostamento del Mercosur verso l’Europa e il campo neoliberista e non più verso i rapporti sud-sud.

Nell’organismo regionale, solo Venezuela e Bolivia hanno detto no a un accordo di libero commercio tra Mercosur ed Europa. E per far capire l’aria, Scioli si è fatto accompagnare in campagna elettorale da un cantante venezuelano oppositore di Nicolas Maduro. E anche sui fondi avvoltoio, grande battaglia di sovranità nella quale Cristina ha segnato gol importanti, Scioli si è mostrato morbido.

Tuttavia, a prescindere dal personaggio, a cui Kirchner ha comunque affiancato Zannini – una figura più di sinistra – per la presidenza, Scioli non ha avuto torto nell’affermare, in chiusura di campagna, che sono in gioco «due modelli diversi di paese». Intanto, vale ricordare la complessa configurazione del sistema politico in Argentina: attraversato non solo dalle tradizionali divisioni tra destra e sinistra con i relativi campi moderati e radicali al loro interno, ma soprattutto dalla divisione tra peronismo e antiperonismo. E ora si può parlare anche di kirchnerismo e anti-kirchnerismo.

Cristina Kirchner ha scelto di schierarsi con le alleanze regionali più conseguenti e radicali, approfondendo il cammino inaugurato dal marito nel 2004. Allora, a Mar del Plata, Kirchner era già stato convinto da Hugo Chavez e Fidel Castro a dire «no» all’Alca, l’Accordo di libero commercio voluto da Bush per le Americhe. E Nacque l’Alba, l’Alleanza bolivariana per i popoli delle nostre Americhe ideata da Cuba e Venezuela, che l’Argentina ha appoggiato in altri organismi regionali. All’interno di Unasur, Cristina ha sostenuto a spada tratta i presidenti socialisti e l’indipendenza del continente dagli Usa. E ha sempre pubblicamente ringraziato l’aiuto fornito da Chavez durante gli anni di crisi. Il cambiamento che propone il campo conservatore rappresentato da Macri – dalle politiche fiscali e tributarie alla privatizzazione delle imprese statali, alla liberalizzazione del commercio e alla tutela dei diritti di proprietà per le grandi imprese – implica invece un ritorno completo al clima mefitico e aggressivo del Consenso di Washington.