Cresciuto a Torino, Giulio Carlo Argan aveva stretto già negli anni del liceo amicizie formative fondamentali arricchitesi poi lungo il percorso universitario, in un perimetro che incluse, tra gli altri, Leone Ginzburg, Cesare Pavese, Norberto Bobbio, Mario Soldati. Mentre nel ’33 iniziava una carriera fulminante nell’amministrazione delle Belle Arti, in città Giulio Einaudi, vecchio compagno del d’Azeglio, fondava la propria casa editrice.
La collaborazione di Argan come consulente dell’Einaudi si infittisce dall’apertura del sesto decennio del secolo, dopo la pubblicazione, nel ’51, del suo Gropius e la Bauhaus, e dopo un decennio in cui la casa editrice torinese aveva cercato di estendere il proprio campo d’azione all’arte con l’assistenza di Carlo Ludovico Ragghianti. Il rapporto Argan-Einaudi si spinge, tra alti e bassi, fino agli anni sessanta. Ne tratta Luca Pietro Nicoletti in Argan e l’Einaudi, un libro Quodlibet, con postfazione di Orietta Rossi Pinelli (pp. 201, euro 20,00).
Nicoletti scassa l’Archivio Storico della casa editrice: parla di libri usciti, di ipotesi e storie di volumi e collane che non hanno mai visto la luce. Tutto si tiene non solo per la centralità della figura di Argan nel mondo culturale italiano di allora, ma perché si sente palpitare nelle scelte, negli svarioni, tra le righe delle missive citate, l’energia che ha consentito alla disciplina di mettersi in pari con la contemporaneità, ponendosi finalmente tra i motori della ricostruzione culturale dell’Italia del dopoguerra.
L’apice dei rapporti tra Argan e la casa editrice è negli anni cinquanta: allo storico dell’arte è affidata la «Biblioteca delle arti», una collana dove sarebbero dovuti confluire i saggi di settore. Saggi, nell’idea di Einaudi, «di carattere divulgativo, su argomenti fondamentali della storia dell’arte» la cui lettura «deve essere istruttivamente allettante e piacevole». Così Argan prende in considerazione le traduzioni e le pubblicazioni di alcuni classici della disciplina, perlopiù in lingua tedesca (Riegl, Worringer, Schlosser…), riletti – almeno Riegl – con un senso di rottura rispetto al modello crociano. In qualche caso sono «riesumazioni» – così le definisce lo stesso Argan –, in altri delle precise scelte culturali, nel tentativo di attualizzare il più possibile il dibattito storico-critico italiano anche attraverso la traduzione di libri recenti, come The Philosophy of Modern Art del critico inglese Herbert Read o Peinture et Société di Pierre Fracanstel.
Altre edizioni, invece, avrebbero dovuto veicolare testi altrimenti sparsi o difficilmente raggiungibili da un pubblico di non specialisti, favorendo al contempo una riflessione allargata sulle metodologie della ricerca e della divulgazione. Si cerca per esempio di raccogliere gli studi sulla pittura contemporanea di Francesco Arcangeli, interpellando Longhi; di rieditare, di Longhi, l’Officina ferrarese e altri scritti, finendo però solo in lungaggini e false partenze; scala di molti anni la traduzione di Meaning in the Visual Art di Panofsky, pubblicata solo nel ’62: per Argan, che ne coglieva certamente il valore didattico, era un testo importante, da aggiungere alla collana dei «Saggi». Non vedono la luce nemmeno le antologie degli scritti di Toesca e Fiocco e ancora, nonostante la raccomandazione di Argan, sarà Feltrinelli a pubblicare Teoria della forma e della figurazione, una raccolta di lezioni, saggi e note di Paul Klee. Avrà forse contato in queste scelte, almeno dal ’55, anche l’impegno dello studioso torinese come docente universitario, con tutte le preoccupazioni pedagogiche che ne dovevano conseguire?
Solo una minima parte dei volumi proposti è arrivata agli scaffali delle librerie. Di quei progetti, a volte lungamente discussi in casa Einaudi, rimane traccia nella corrispondenza e nelle memorie delle mitiche riunioni del mercoledì. Argan è pienamente consapevole delle regole del gioco e si muove con abilità tra i maggiori editori del paese, in un rapporto stretto, ma mai esclusivo, con l’editore torinese.
I libri portati a termine hanno lasciato segni più complessi, che si diramano fuori dagli archivi. Argan aveva per esempio sostenuto e difeso dalle critiche, dentro e fuori l’Einaudi, la traduzione de Il conoscitore d’arte di Max Friedländer, edita nel ’55, con tutto ciò che l’esperienza dello studioso tedesco poteva aver significato nel processo di formalizzazione di una ‘filologia visiva’ per le arti figurative. Ed è ancora lo storico dell’arte torinese a giudicare positivamente Pittura e Controriforma di Federico Zeri, pubblicato nel ’57, e a organizzare la raccolta degli scritti di Lionello Venturi. La lezione di Venturi è ripresa, rielaborata, fortemente attualizzata da Argan che promuove la ripubblicazione dei testi del suo anziano maestro non seguendo un ordine cronologico, dal più antico al più recente, ma in una successione di senso. Come se, appunto, fosse un materiale criticamente rimesso al presente, slegato dei particolari problemi sociali, culturali, politici, che ne hanno visto l’origine.
Del resto, grazie all’esperienza di Venturi, ma anche per i percorsi dentro le istituzioni e tra le macerie della guerra di Palma Bucarelli, Cesare Brandi, Fernanda Wittgens e altri, la storia dell’arte era allora forte di crediti morali e responsabilità civili. Era ormai superato il problema del riconoscimento della disciplina come materia universitaria, sul quale si era generosamente speso Venturi senior, ma erano ancora accesi i dibattiti tra scuole per definire specificità e metodi.
In questo contesto le consulenze di Argan all’Einaudi assumono un valore politico, dal campo di una storia dell’arte emancipata dai vecchi maestri, militante, attivamente partecipe alla vita sociale. Il professore andava così acquistando una centralità e un’influenza sempre maggiore nei circoli intellettuali, sollecitato da una situazione culturale vivace e in continua tensione. E all’«Argan editore» non poteva certo sfuggire che il libro, materia prima della cultura, stava diventando accessibile a un pubblico sempre più vasto, distribuito in librerie (poco dopo, anche nelle edicole) che stavano cambiando perdendo quell’aura che ne faceva luoghi prettamente elitari, diventando spazi aperti al confronto, veri e propri strumenti di politica culturale. Come quella che Einaudi apriva in via Veneto a Roma, in cui si susseguivano mostre, conferenze e presentazioni in un fitto programma curato dalla giovane Marisa Volpi; per un sarcastico Zeri la libreria, «bellissima, in Via Veneto, è divenuta il piedistallo su cui si esibisce G.C. Argan».