Voce in ottave multiple, personalità debordante. Aretha Franklin – che se è andata il 16 agosto di tre anni fa – dal 1956 al 2014 ha prodotto una quantità di esecuzioni musicali, un repertorio sconfinato che la Rhino ha cercato di ordinare in un elegante box – Aretha – composto da quattro cd appena pubblicato e distribuito dalla Warner. Non il primo box in tal senso – in passato ne sono usciti diversi di più o meno intrigante compilazione, ma per la prima volta – superati i problemi legali tra le varie etichette – il progetto con metodo cronologico abbraccia tutta la sua carriera. Sono state selezionate 81 tracce rimasterizzate con attenzione, di cui ben 19 fanno il loro debutto in cd e digitale come versioni alternative di classici. Ma anche demo, partecipazioni televisive (c’è uno storico duetto con Dionne Warwick sulle note di I Say a Little Prayer) o rarità come una intensa versione di un evergreen di Donny Hathaway Someday We’ll All Be Free.

ACCOMPAGNATO dalle note di Rochelle Riley, autore e responsabile delle arti e della cultura della città di Detroit e di David Nathan, giornalista musicale che ha ripetutamente intervistato l’artista nel corso della sua carriera, l’ascoltatore si approccia alla scoperta delle mutazioni di stile e interpretative della diva nata a Memphis il 25 marzo 1942. Profondità e passione per la musica che la accomunano a Sam Cooke e Ray Charles, come loro Aretha ha saputo appropriarsi della tradizione gospel sposandola nel soul e nel pop, evitando cliché troppo legati alla tecnica lasciandosi andare piuttosto alla ricerca della massima espressività e a una carnale passione che riversa soprattutto nelle performance live. Acerba Aretha non lo è stata mai: la sua voce è sempre stata precisa, come dimostrano anche i due brani messi proprio in apertura di scaletta Never Grow Old e You Grow Closer che sono stati pubblicati come primo singolo nel 1956 da J.V.B. Records.
Un talento espresso anche nella sterminata discografia della cantante che tra antologie, album live e studio tocca i sessanta titoli in un arco di tempo che passa da Songs of faith (1956) l’esordio inciso appena sedicenne per la Chess Records a (2014) Sings the Great Diva Classics. Eppure, nonostante l’enorme talento e la precoce maturità, gli anni di militanza nei ’60 con la Columbia la vedono ancora incerta sulla strada da intraprendere. È virtuosa nell’omaggio a Dinah Washington appena scomparsa – Unforgettable (1964) frutto di una session arrangiata in chiave soul jazz da Bob Mersey, ma gli eleganti arrangiamenti e l’uso di archi di altre sue incisioni dell’epoca non convinconco appieno. Non mancano però perle come una versione di Skylark – compresa nel box- incisa nel 1963 per l’album Laughing On The Outside. La consapevolezza piena arriva con l’ingresso di Aretha nella scuderia dell’Atlantic, un quinquennio d’oro aperto da un album diventato un pezzo di storia del soul I never Loved a Man (The Way I love You), registrato nel 1967 in parte nei celebri Fame Studios di Muscle Shoals dove Aretha trovò subito sintonia con i musicisti messigli a disposizione dal produttore Jerry Wexler.

SONO GLI ANNI di Think (da Aretha Now, 1968), Chain of Fools (nel box presente in una versione alternativa). La voce di Aretha è all’apice, sa essere risoluta ed è specchio di una donna che vuole essere «rispettata e ascoltata», ma sa anche essere «fragile e sensuale». Nel terzo disco del box – il più interessante – spazio a una produzione meno conosciuta ma affatto minore: un provino di Angel, inserita in un album prodotto insieme a Quincy Jones nel 1973 e una gemma donata da Stevie Wonder Until you come back to me per Let me in your life (1974).

DAL 1981 – quando firma per l’Arista di Clive Davis – Aretha che ha spesso un gran bisogno di denaro, accetta collaborazioni e brani decisamente più mainstream e – poco lungimirante – rifiuta di incidere con gli Chic due pezzi come Upside Down e I’m coming Out ritenendoli «non consoni ai suoi standard», ma che diventeranno hit mondiali con Diana Ross. Dopo due dischi interlocutori, ritrova il successo con Jump to It, prodotto da Luther Vandross (1982) e ancor più con Freeway of Love (da Who’s zooming who, 1985) che diventerà il suo maggior successo dai tempi di Respect. Ma la vera perla degli ottanta e un duetto a distanza – Aretha ha il terrore dei voli aerei – con Annie Lennox per Sisters are Doing For Themselves. Si cimenta anche in un confronto con Adele, riprendendo nel suo album del 2014 Rolling into deep, ma la voce risente degli acciacchi dell’età: si arrampica a fatica sulle note alte e scivola fragorosamente sulle basse. Il canto del cigno – che non a caso chiude la scaletta del box – è la commovente versione di You make me feel like a natural woman eseguita dal vivo al Kennedy Center nel 2015 davanti alla famiglia Obama – in lacrime – al completo.