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Aree idonee, come scontentare tutti

Aree idonee, come scontentare tutti

Strategie La conferenza Stato-Regioni ha presentato la bozza del decreto che stabilirà le regole per individuare dove installare gli impianti per le energie rinnovabili

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 5 ottobre 2023

La bozza sulle «aree idonee» presentata alla Conferenza Stato-Regioni scontenta tutti. Stiamo parlando di un decreto da tempo atteso dal settore delle fonti rinnovabili per due importanti aspetti: perché stabilisce le regole per individuare le varie zone d’Italia dove poter sviluppare e installare nuovi impianti di energia da fonte rinnovabile, e perché assegna gli obiettivi di produzione attesi per ciascuna Regione da raggiungere entro il 2030.

IL CONTENUTO DELLA BOZZA HA SOLLEVATO una serie di critiche e di forti dubbi non solo da parte del settore delle rinnovabili, ma anche dal settore agricolo. La sensazione è che anche con questo documento, sul quale hanno lavorato ben tre ministeri (Ambiente, Cultura e Agricoltura), emerga la convinzione che sulla transizione energetica il Paese vuole frenare. Anche in questo caso, come per il piano nazionale per l’energia ed il clima Pniec dello scorso giugno, si riscontra una scarsa visione strategica, l’assenza di qualunque impostazione di protezione della industria nazionale e la mancanza di un confronto in sede di stesura con i portatori di interesse, ormai una modalità costante di questo esecutivo che ha risultati negativi sui tempi di realizzazione e sulla semplificazione delle procedure.

LA MANCANZA DI STRATEGIA RISIEDE nel fatto che gli obiettivi intermedi al 2030 vanno intesi come step intermedio di quelli da realizzarsi al 2050 che assume valori di potenza tre volte superiori, e un mancato risultato ora si rifletterà inevitabilmente con un fallimento dopo. Il decreto, che dovrebbe essere approvato in via definitiva con sollecitudine, continua a far discutere perché considerato troppo vincolante, confuso e contraddittorio nonostante che gli obiettivi ambiziosi (80 GW di potenza rinnovabile da installare al 2030) richiedano tutt’altro e che con questo documento difficilmente potranno essere realizzati.

I PUNTI DI CRITICITÀ SONO DIVERSI. Tra questi, l’impossibilità di installare impianti sulle aree industriali, mentre per tali aree ci saremmo aspettati una semplificazione totale. Sono presenti vincoli non accettabili anche per zone compromesse o di scarso interesse per uso agricolo o perché in prossimità di strutture produttive o di infrastrutture. Nel decreto c’è l’assoluta assenza di disposizioni per semplificare e accelerare, nelle aree idonee, i procedimenti autorizzativi, non si tiene conto del collegamento degli impianti alla rete, situazione diversa da Regione a Regione, e della realizzazione di sistemi di accumulo, temi fondamentali per lo sviluppo della produzione elettrica rinnovabile. Si parla di aree industriali da bonificare, ma non si individuano fondi e responsabilità per queste bonifiche. Si fa riferimento ad aree agricole improduttive, ma senza darne una definizione; suggeriamo di rispolverare la legge n. 440 del 1978, ancora vigente, intendendo per aree improduttive quelle incolte, quelle cioè che non siano state destinate ad utilizzazione agraria da almeno due annate agrarie.

LO STATUS DI AREE AGRICOLE CERTIFICATE idonee non implica nel decreto nessuna facilitazione perché trattate esattamente come quelle che non lo sono e ciò vale anche per le aree agricole già classificate idonee dal decreto 199/2021, tra le quali quelle immediatamente limitrofe alle aree produttive. Il paradosso è che, volendo semplificare, è stato fatto un passo indietro, peggiorando addirittura quanto previsto dalla legislazione esistente. La non idoneità per l’agrivoltaico vale solo per il fotovoltaico interfilare a terra, mentre è ammessa per quello elevato, sicuramente più invasivo e più impattante e non si capisce il perché di questa differenziazione, soprattutto in riferimento alle percentuali di terreno disponibili. Fondamentalmente, si insiste con la disputa tra produzione di energia e produzione agricola, già da tempo superata con la tecnologia dell’agrivoltaico, vista come sinergia tra i due aspetti in cui non deve essere indicata una priorità rispetto al beneficio dato da entrambe.

LA PERCENTUALE MASSIMA DI UTILIZZO del 10% del suolo agricolo nella disponibilità del soggetto che realizza l’impianto fotovoltaico o agrivoltaico non piace ad Elettricità Futura e Italia Solare che lamentano, a ragione, una inutile lievitazione dei costi per gli impianti, e non piace neppure al settore agricolo per una possibile proliferazione impropria di grandi impianti su terreni destinati all’agricoltura. Anche in questo caso avanziamo un suggerimento: non sarebbe il caso di limitare non la percentuale di superficie utile agricola massima disponibile, ma la potenza installata, visto che per la morfologia del territorio impianti fotovoltaici di potenza superiore a 200 MW difficilmente possono essere realizzati?

POI C’È IL TEMA DELL’EOLICO riguardante l’assurda limitazione rispetto a una ventosità minima, oppure la distanza tra i beni sottoposti a tutela e gli impianti eolici che è rimasta di 3 km, a fronte della richiesta di una distanza minore come quella imposta per il fotovoltaico. Infine c’è il ruolo delle Regioni, che in 180 giorni devono stilare una proposta che includa l’armonizzazione con le pianificazioni esistenti, a volte vecchie di molti anni: qui forse era il caso di prevedere per decreto tavoli regionali partecipati dagli operatori e dalle istituzioni con il compito di individuare e definire le procedure più idonee.

SAREBBE PIÙ OPERATIVO che ogni Regione sollecitasse il ruolo dei Comuni per definire i luoghi per l’installazione di rinnovabili con iter semplificato di autorizzazione, indicando le aree non idonee per vincoli archeologici, paesaggistici, faunistici. Un lungo elenco di penalizzazioni che disincentivano le imprese nell’investire in un settore strategico per il Paese, rendendo di fatto impossibile raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione.

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