«Il giorno stabilito per la nostra partenza, trovammo puntualmente sulla banchina del porto di Palermo i nostri uomini. La nostra piccola speronara si dondolava in mare a venti o trenta passi, viva, graziosa e fine in mezzo ai grossi bastimenti, come un alcione in mezzo a uno stormo di cigni. La scialuppa ci aspettava ormeggiata al molo: Jadin, Milord ed io vi prendemmo posto e cinque minuti dopo eravamo a bordo». Era la mattina del 5 ottobre 1835 e i tre compagni fecero rotta verso Alicudi, intenzionati a visitare le isole Eolie. Una crociera di cinque giorni, fino al 9, quando lasciano Stromboli, dopo aver fatto scalo, in successione, a Lipari, Vulcano, e Panarea. Isole che, pur non distanti tra loro, furono raggiunte non senza qualche lentezza di navigazione a causa della incostanza dei venti e ad improvvise bonacce che, ammainata la vela, costringono ai remi i quattro marinai dell’equipaggio.

Non dirò tanto dei casi, degli incontri e delle impressioni di Louis Godefroy Jadin (1805-1882), pittore che avrà successo nella Parigi di Napoleone III, specializzato in ‘ritratti’ di cani e in scene di caccia. Né di Alexandre Dumas (1802-1870) per come del viaggio intrapreso ci narra con felice vena in Excursion aux îles Éoliennes (1842) lo scrittore, allora poco più che trentenne, che il suo I tre moschettieri, di lì a poco, nel 1844, renderà celebre in tutta Europa. Dirò invece di due avventure capitate al terzo amico. A Milord, cane di piccola taglia «dagli occhi intelligenti», amato da Jadin, per il quale Dumas, affezionatosi, confessa d’avere «un grosso debole».

La prima ha luogo nelle acque di Vulcano «simile all’ultima vestigia di un mondo bruciato, in mezzo al mare che sibilava, ribolliva e gorgogliava tutt’intorno», dice Dumas. E aggiunge: «È impossibile, anche a volerla dipingere, dare un’idea di questa terra in preda alle convulsioni, ardente e quasi in fusione. A questa strana apparizione, non sapevamo se il nostro viaggio fosse un sogno e se questa terra fantastica si sarebbe dissolta davanti a noi nel momento in cui credevamo di metterci piede».

Sta di fatto che, accolti all’attracco da due giovani fratelli, i nostri escursionisti godono d’una sobria colazione a base di uova sode: messe le uova in un panierino di canna e immerse nell’acqua scaldata da un piccolo cratere sottomarino «fino a ottanta ottantacinque gradi, orologio alla mano, dopo tre minuti erano cotte a puntino». Milord si accorge d’un uovo che si è rotto e galleggia in appetitosi bocconi bianchi e gialli nell’azzurro dell’acqua. Si tuffa e si trova «in un liquido riscaldato a ottantacinque gradi. Lanciò un grido acuto e, senza più preoccuparsi dell’uovo, iniziò a nuotare verso la riva guardandoci con due grandi occhi ardenti». Da quel momento Milord, nel corso della traversata evitò accuratamente ogni contatto con le onde del mare. La seconda avventura di Milord ha per teatro le creste aguzze, i precipizi e i brevi avvallamenti sassosi in vetta allo Stromboli. I tre amici raggiunsero nella piena calura del mezzodì un pianoro rilevato donde poterono assistere alle prodezze pirotecniche che la bocca sottostante del vulcano offriva loro: fumi, lanci di lapilli e sassi. La fantastica girandola attrae Milord che uggiola e abbaia: «Dovemmo trattenerlo per il collo, scrive Dumas, visto che si voleva gettare in quella lava ardente, abituato com’era a farlo con i razzi, i petardi e gli altri giochi di artificio».

Ma, una volta intrapresa la discesa dai crateri lungo un costone renoso, è allora che Milord fa la sua seconda esperienza eoliana. «Milord ci precedeva a salti e balzi, cosa che conferiva alla sua andatura una parvenza briosa, piacevole a vedersi. Feci rilevare a Jadin che tra tutti noi Milord sembrava essere il più contento, quando improvvisamente scorgemmo la reale causa di questa apparente allegria». Milord, «immerso fino al collo in quella cenere bollente, si stava arrostendo come una castagna. Lo chiamammo e si fermò sempre continuando a saltellare: in un istante fummo da lui e Jadin lo prese tra le sue braccia». Da quel momento solo in collo ai due amici o sui sicuri carabottini di legno della speronara, Milord decise che avrebbe condotto a termine la sua avventurosa esplorazione di quell’ardente arcipelago.