Domenico Arcuri è stato confermato da tutti i governi e da tutti i partiti. Dal 2007 dirige Invitalia, il braccio operativo del ministero dello Sviluppo con cui doveva salvare le aziende in crisi. Non ne ha salvata una: da Termini Imerese ad Alcoa, da Embraco a Piombino, solo per citare le più grandi e lunghe. Però nessuno lo ha mai rimosso. Con Giuseppe Conte è diventato commissario alla pandemia, mantenendo l’incarico precedente.
Incarico che negli ultimi mesi è diventato ancora più imponente: nel frattempo Invitalia è entrata come azionista di maggioranza nell’ex Ilva.
Arrivato Draghi, la nuova maggioranza extralarge si è improvvisamente accorta che Arcuri ha troppe competenze. E «tirare a Mimmo» è il nuovo sport nazionale. A sparare ad alzo zero è Matteo Salvini, che Arcuri lo ha lasciato a Invitalia durante il «governo del cambiamento», senza pensarci due volte. Ora a capo del Mise c’è Giancarlo Giorgetti che sembra avere atteggiamento molto più pacato del suo segretario con Arcuri. Se ieri il «capitano» arrugginito ha attaccato – «Non è una questione di simpatia ma in questi mesi Arcuri è stato pagato, e molto bene, per le mascherine e ci sono delle inchieste; per i banchi di scuola con le rotelle e lasciamo perdere; per risolvere i problemi dell’Ilva e non ne parliamo; per il piano vaccinale ed è in ritardo…» – da Giorgetti non è arrivata alcuna dichiarazione e sembra che presto ci sarà un incontro sull’ex Ilva, azienda della quale Invitalia dovrà nominare il prossimo presidente – l’ad rimarrà in quota ArcelorMittal – e di certo non sarà Arcuri.
Gli altri partiti parlano di «troppe responsabilità, troppi dossier da seguire» ma nessuno si azzarda a chiedere esplicitamente la testa di Arcuri.
L’uomo però se ha una dote è quella della pazienza. E quindi sta in silenzio, lavorando dietro le quinte per «mantenere quello che è possibile mantenere», come spiega un suo collaboratore, «sicuro che qualcosa manterrà».
La sua infinita rete di contatti e conoscenze è attiva da giorni per cercare di capire come comportarsi con il nuovo presidente del consiglio. Il ruolo da commissario – fissato dal decreto Cura Italia – lo lega indissolubilmente con «lo stato di emergenza», per ora rinnovato fino al 30 aprile. Nessuno vieta a Draghi di sostituire Arcuri con un altro commissario, ma le possibilità che il nuovo presidente del consiglio lo faccia sono assai remote.
L’ipotesi più probabile è che Draghi lo lasci a gestire gli acquisti dei vaccini e la logistica della distribuzione, affiancandogli un tecnico nella gestione più sanitaria della vaccinazione.
Arcuri infatti è un mero esecutore: come ad Invitalia ha avuto indicazioni politiche completamente diverse in questi anni ma le ha sempre attuate, senza fiatare, senza mai esprimere un parere o una opinione personale. Una sorta di Mister Wolf, chiamato da Conte per risolvere i problemi di approvvigionamento prima di mascherine e poi di vaccini.
Allo stesso modo il suo rapporto con il Comitato tecnico scientifico è totalmente neutro: da questo e dal ministro Speranza il commissario Arcuri ha sempre atteso indicazioni. La sua autonomia sta tutta nei metodi: tutt’altro che ortodossi ma sempre rispettando la normativa grazie a poteri da commissario che gli permettono di fare un po’ tutto in deroga ai codici. Come accaduto per i tanti appalti banditi in soli dieci mesi: banchi delle scuole (tanti a rotelle, sì, ma nessuno pensava riuscisse ad averli realmente per ottobre), primule di Boeri (già rottamate) e infermieri con contratto precario interinale da fame.
Ma Mimmo è sempre lì. Inamovibile.