Non ha avuto vita facile, nella sua rinnovata veste, il Festival dell’architettura di Torino che con il titolo Bottom Up! lo scorso anno si è trovato a fare i conti con l’emergenza sanitaria Covid19, slittando fino ad oggi. I promotori dell’iniziativa, Fondazione per l’architettura e Ordine degli architetti di Torino, sono tuttavia a ragione soddisfatti del risultato raggiunto e già pronti a replicare il loro «esperimento generativo».

DI ESPERIMENTO INFATTI si è trattato e non proprio di un festival secondo le canoniche formule che dal 2011 si susseguivano anche nella città sabauda e che alla fine, come per altri eventi simili, confezionavano sempre delle vetrine promozionali.

NEL CASO TORINESE si è voluto cambiare registro e organizzare un processo di trasformazione urbana dal basso che attraverso un efficace impiego del crowdfunding, ha visto la possibilità di finanziare dodici micro-progetti per la città e la sua periferia. Il comune denominatore che li ha uniti tutti è l’avere guardato allo spazio pubblico, essere connotati da un forte valore civico, dove l’architetto è stato inteso come un autentico «progettista sociale» capace di «guidare il progetto insieme alle comunità», controllarne la qualità tecnica ed estetica e coordinare i vari soggetti coinvolti.

SIA LA SELEZIONE DEI PROGETTI (quarantotto quelli candidati) sia la scelta dei curatori, Maurizio Cilli e Stefano Mirti, si è svolta attraverso un bando e una call pubblica, ma a ciò si è aggiunto l’impegno di Alessandra Siviero ed Eleonora Cerbotto, presidente e direttore della Fondazione, nel tenere sempre aperto il dialogo con i partecipanti soprattutto nei momenti critici del lockdown. Se è stata difficile, infatti, la ricerca delle risorse finanziarie (142mila euro raccolti) e tenere coesa l’elaborazione e l’esecuzione dei progetti, questi misurandosi con gli effetti della pandemia hanno marcato ancora di più il loro carattere esemplare di necessità.

È IL CASO DEGLI ORTI ABUSIVI in Strada del Drosso: circa sei ettari di terra che aspetta dal 2010 di essere bonificata e che in parte è coltivata dagli «ortolani» abitanti del quartiere operaio di Mirafiori Sud. Il progetto Miraorti sostenuto dall’associazione Orti Generali, prevede, con la partecipazione del Comune, una riqualificazione dell’intera area e un percorso per legalizzare l’uso dei terreni dopo averli censiti e bonificati per l’autoproduzione di cibo. Così grazie a Bottom Up! si è innescato un processo di solidarietà che ha visto nelle fasi acute del lockdown i soci di Orti Generali sostituirsi agli abitanti-ortolani nella coltivazione dei loro fazzoletti di terra.

ALTRI DUE PROGETTI HANNO riguardato il tema alimentare. Il primo, Ruota di Scarto con capofila l’Associazione Eufemia, ha interessato la creazione di una cucina mobile per il recupero, la trasformazione e la distribuzione delle eccedenze della filiera alimentare. La prima sperimentazione è stata la produzione di passata dai pomodori rimasti invenduti donata a famiglie fragili durante l’evento Passata/e in Barriera.

IL SECONDO PROGETTO E’ STATO il Forno sociale S.P.I.G.A. di Re.Te Ong, orientato da un lato all’autoproduzione di cibo attraverso un forno sociale, dall’altro alla realizzazione di una Biblioteca del grano: un vero spazio all’aperto di sperimentazione agricola di vari semi.

HA SCRITTO STEFANO MIRTI nell’agile pubblicazione che racconta la storia del festival che «ogni progetto diventa una sofisticata macchina per tessere relazioni». Nella comunicazione del progetto di architettura accade che la forma segua la «finzione» (form follows finction) e non più la sua «funzione», come tramandato dal motto modernista. Il fare architettura, infatti, coincide con la sua narrazione.

SE NE RICAVA CHE la partecipazione dei cittadini mossa dalle loro necessità, è quella che innesca la moltitudine di trasformazioni fisiche dell’ambiente che nelle sue espressioni più alte e convincenti è sempre stata nella storia l’impresa di una collettività.

È EVIDENTE CHE LA SCALA di ogni singolo intervento ha la sua importanza. Ci sarà in questo senso chi sottovaluterà queste esperienze ritenendole poco incisive nella realtà urbana o così poco significanti per intralciare i più consistenti interessi speculativi del mercato immobiliare. Così potrà anche essere considerato simile allo scorrere dell’acqua sulle piume di un uccello il favorire, ad esempio, l’accesso pubblico in luoghi separati dal flusso quotidiano dei suoi abitanti: dal giardino di una scuola d’infanzia (il Cortile Mondo della Marc Chagall) ai cortili contigui di alcuni stabili del centro (Corti.Lì), magari solo per sostare all’ombra di una pergola durante la calura estiva (Stiamo freschi! nella Casa del Quartiere San Salvario), o ancora disporre in periferia solo di un capiente container per incontrarsi (ConVi).

EPPURE QUESTE «PRATICHE di relazione e costruzione condivisa di valore urbano» (Cilli) hanno un’importanza che è impossibile sottovalutare. In alcuni casi ci si è semplicemente dati da fare per finire una tettoia per un campo di bocce che il Comune si era dimenticato di terminare (Risorgimento Social Club), ma in altri casi si è trattato di iniziative difficili come l’agire sul disagio psichiatrico attraverso la tecnologia digitale (Hear Me in B.go San Paolo) oppure misurarsi con la complessità di ideare luoghi vitali per l’inclusione sociale: Lo Spazio di Mezzo creato per permettere lo scambio culturale sino-italiano, Wall Coming! per l’inserimento dei ragazzi detenuti nel carcere minorile Ferrante Aporti in un ambiente «multifunzionale a vocazione teatrale», l’estensione del Piccolo Cinema del Centro di Aggregazione Culturale di via Cavagnolo.

BOTTOM UP! HA INCANALATO una così ricca varietà di progetti per la città che ci auguriamo che la nuova giunta comunale che in autunno si insedierà non ne mortifichi le attese, anzi ne favorisca di nuovi nel prossimo futuro.