Una doccia fredda. Per alcuni inaspettata, da altri temuta in silenzio. ArcerloMittal, la prima multinazionale dell’acciaio al mondo, dopo aver deciso nelle scorse settimane di ridurre la produzione primaria in Europa – dopo pochi mesi di proprietà dell’ex gruppo Ilva – ha annunciato la necessità di ricorrere temporaneamente alla cassa integrazione guadagni ordinaria per lo stabilimento di Taranto, per un numero massimo giornaliero di circa 1.400 dipendenti per 13 settimane.

PRESI ALLA SPROVVISTA i sindacati metalmeccanici i quali, in vista dell’incontro già fissato per il 10 giugno dove si sarebbe dovuto discutere dell’aggiornamento dell’accordo dello scorso settembre e fare il punto sul piano industriale e sui lavori del Piano Ambientale (sui quali l’azienda ha ribadito il massimo impegno rispettare gli accordi), già oggi si ritroveranno di fronte l’azienda per discutere di tutt’altro.
Ha provato a gettare acqua sul fuoco l’amministratore delegato di ArcelorMittal Italia Matthieu Jehl che ha parlato di una scelta difficile dettata dalle condizioni del mercato, critiche in tutta Europa, con un calo generale del 10%, ribadendo che le misure annunciate saranno temporanee. A pesare in particolare la crisi nel settore automotive, ed in particolare per i prodotti siderurgici da coils che si producono in gran quantità a Taranto. Il minor consumo di acciaio e il calo di ordini, fa inoltre il paio con l’aumento esponenziale di importazioni di prodotti da coils e lamiere aumentate del 51% nei primi quattro mesi del 2019 rispetto allo stesso periodo del 2018. Inoltre, le scorte a magazzino sono aumentate ben oltre i livelli standard di giacenza.

TUTTE SITUAZIONI CONOSCIUTE dai sindacati, che però non hanno affatto gradito le modalità scelte da ArcelorMittal Italia per comunicare la decisione dell’utilizzo della Cigo. «È evidente che la prospettiva della Cig ordinaria, per quanto legata per definizione ad un evoluzione di ciclo congiunturale, non ci rassicura e diventa un ulteriore elemento di incertezza. Sono mesi che la Fiom chiede un incontro al Mise per una verifica degli impegni sottoscritti, che diventa ancora più urgente alla luce delle decisioni comunicate», sostiene Francesca Re David, segretaria generale Fiom Cgil. «Nell’incontro del 10 giugno – ha preannunciato – chiederemo una verifica sull’attuazione dell’accordo sottoscritto in merito alle strategie industriali e produttive e agli investimenti sul risanamento ambientale».

Antenne dritte anche a Genova: «Siamo preoccupati – dice il segretario della Fiom genovese Bruno Manganaro – visto che da Taranto parte la produzione dell’acciaio che lavoriamo a Genova e visto che comunque a Genova finora non sono ancora stati garantiti nemmeno i mille lavoratori previsti dall’accordo». Per Manganaro nel prossimo incontro «avrebbero potuto tranquillamente spiegare il problema e vedere se insieme riuscivamo ad individuare un’alternativa. Un brutto segnale quindi anche da questo punto di vista».

«LA COMUNICAZIONE arrivataci da ArcelorMittal a pochi giorni dall’incontro di lunedì prossimo è grave, inopportuna e sbagliata», tuona il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, ex operaio a Taranto. «Non si era mai verificato prima – prosegue – che a pochi mesi dall’acquisizione un’azienda facesse ricorso alla cassa integrazione ordinaria. Lunedì chiederemo garanzie, tempi di scadenza e impegni precisi e ci aspettiamo che questo annuncio venga ritirato». «Arcelor Mittal deve rispettare l’accordo firmato. C’è troppa disinvoltura nel Paese nel fare accordi e non rispettarli. Serve da una parte un’azione più forte di politica industriale, visto che manca una visione, e dall’altra più responsabilità da parte delle imprese», ha invece dichiarato la segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan.

Al centro della questione acciaio, anche le misure di salvaguardia per le importazioni di acciaio adottate dalla Commissione Ue, giudicata troppo deboli. Ieri, 45 amministratori delegati dei più importanti gruppi siderurgici europei hanno scritto una lettera aperta ai capi di Stato e di governo della Ue e alle istituzioni comunitarie per chiedere un’azione urgente a sostegno del settore.