Sono circa 350 mila le tonnellate di «pastazzo» che la Sicilia produce ogni anno. Vere e proprie montagne di buccia, polpa e semi degli agrumi, arance soprattutto, utilizzati all’interno della filiera dei succhi di frutta. Per ogni arancia spremuta a livello industriale, circa la metà del suo peso è un sottoprodotto che bisogna gestire. Si tratta di scarti che per essere riutilizzati devono essere essiccati o trasformati, per diventare energia, compost o mangime per gli animali. I costi per lo smaltimento di questo sottoprodotto sono estremamente elevati, tanto che il Ministero dello Sviluppo Economico nel 2014, aveva garantito delle agevolazioni per i progetti di ricerca e sviluppo volti al reimpiego sostenibile di questa materia prima.

Gestire il sottoprodotto degli agrumi è ancora un problema, in particolare per le aziende che producono succhi a livello industriale. Secondo l’Università degli Studi di Catania e il Distretto degli agrumi di Sicilia, nessuna formula di riuso è stata in grado di assorbire l’ingente quantità di scarto, tanto che dal 2014 stanno percorrendo insieme la strada della produzione di biogas, dopo l’inaugurazione di un impianto pilota.

In questo contesto due giovani catanesi, Adriana Santanocito e Enrica Arena, hanno trasformato il sottoprodotto delle arance in una risorsa. Così è nato Orange Fiber, un filato innovativo frutto dell’estrazione di cellulosa dal «pastazzo» di arance. «Abbiamo unito due eccellenze italiane: il cibo e la moda» come dicono loro stesse.

Per trasformare un’idea in un filato ci hanno messo almeno tre anni.

Tutto è iniziato tra il 2012 e il 2013 quando Adriana Santanocito preparava la sua tesi universitaria. Partita da Catania per frequentare un corso in Fashion Design e materiali innovativi all’AfolF Moda di Milano, Adriana aveva già in testa di ideare una materia prima sostenibile ricavata dagli agrumi. Circa un anno dopo per le due giovani innovatrici si è aperto il laboratorio chimico del Politecnico di Milano, dove sono state messe in campo le prime prove di fattibilità. Da quell’esperienza è nato il brevetto, depositato in Italia. Secondo Enrica Arena, laureata in comunicazione e cooperazione internazionale e cofondatrice di Orange Fiber, è a quel punto che è cominciata la vera sfida: dimostrare che il frutto degli esperimenti potesse diventare un tessuto. L’azienda è nata sotto una buona stella, il 5 febbraio 2014. Una data importate per le due giovani imprenditrici: a Catania si festeggia Sant’Agata, custode delle tessitrici.

Il prototipo di tessuto è stato presentato poco prima che a Milano aprisse l’Esposizione Universale e a dicembre è stato inaugurato l’impianto pilota in Sicilia, in provincia di Catania. Si tratta di un piccolo impianto che trasforma in cellulosa l’avanzo della lavorazione dei succhi. I fondi per la sua realizzazione sono arrivati da investitori privati e finanziamenti pubblici ricevuti dal Trentino e da Start and Smart, del Ministero dello Sviluppo economico. Nel 2016 è stato esteso il brevetto a tutti gli agrumi e a tutti i principali paesi produttori di succo d’arancia: Brasile, Stati Uniti, India, Messico e Unione Europea.

Il 2016 ha portato alle due imprenditrici le prime vittorie importanti per il riconoscimento della loro innovazione: il premio della fondazione H&M e la prima produzione per Salvatore Ferragamo, lanciata sul mercato ad aprile 2017. L’azienda è stata, inoltre, premiata anche per l’impatto sostenibile attuale e potenziale sul mondo della moda.

Un tessuto morbido, leggero e fresco, quasi impalpabile al tatto. Enrica Arena descrive con attenzione meticolosa le combinazioni di filati che valorizzano la fibra di arancia e la sua versatilità. La collezione lanciata da Ferragamo prevede il 30% di seta e il 70% in orange fiber. Il tessuto proposto dalle due imprenditrici si pone come alternativo ai filati che derivano dalla cellulosa proveniente dal legno, come la viscosa. Il prodotto si ispira, infatti, ai principi dell’economia circolare: il riuso di materie prime di scarto, la sostenibilità della produzione e la trasparenza della filiera.

Nella fase iniziale del progetto anche il limone era entrato tra le materie prime possibili per i tessuti. A differenza dell’arancia la buccia del limone ha un mercato in Sicilia. Dal limone, infatti, vengono estratte le pectine che servono come gelificante per le marmellate. Le due imprenditrici hanno preferito, invece, concentrarsi su un residuo di lavorazione che, ad oggi, nessun altro usa.
L’iniziativa di Adriana e Enrica non punta solo a sensibilizzare il mondo della moda, vuole trasformarlo. Vogliono dare importanza alla scelta dei materiali che si indossano: da dove vengono e che impatto hanno sull’ambiente. Orange Fiber punta a misurare l’impatto di tutto il ciclo di vita del prodotto ideato.

Alla base della loro attività c’è un’attenzione costante alla ricerca e allo sviluppo dell’innovazione, oltre all’individuazione della filiera potenziale del prodotto, come testimoniano le continue sperimentazioni raccontate da Enrica Arena. L’obiettivo finale, infatti, è quello di crescere: passando da un piccolo macchinario che controlla ogni passaggio ad una produzione stabile. Per ottenere un impatto maggiore nel mondo della moda e per diventare alternativi alla cellulosa da legno.