«Vi prometto che la prossima conferenza stampa sarà l’ultima e che faremo luce sull’identità di quanti hanno eseguito, preso parte o erano a conoscenza della uccisione del rais Yasser Arafat». Con queste parole si era espresso qualche sera fa Tawfiq Tirawi, l’ex capo dell’intelligence palestinese, che presiede la commissione d’inchiesta dell’Autorità Nazionale sulla morte misteriosa, avvenuta nel novembre 2004, del leader dell’Olp. E invece la parola fine non è stata ancora scritta su questa vicenda. Perché la Francia, tra lo sbigottimento di molti, a cominciare dalla vedova di Arafat, Suha Tawill – «sono sempre convinta che mio marito non sia morto per cause naturali», ha commentato ieri – in controtendenza con quanto sostenuto il mese scorso da esperti svizzeri e russi, nega che Arafat sia stato avvelenato dal polonio 210, una sostanza altamente tossica. Secondo il rapporto diffuso due giorni fa dal team francese, invece sarebbe morto per «cause naturali», «in seguito a un’infezione generalizzata». Scettico, a dir poco, il nipote del leader scomparso, Nasser al-Qidwa. «A mio avviso ogni nuova informazione sulla morte di Arafat, se viene dalla Francia, dovrebbe essere coerente con il rapporto dell’ospedale di Parigi rilasciato nel 2004».

Il referto medico dell’ospedale di Percy Clamart, pubblicato il 14 novembre 2004, si limitò a far riferimento a una grave infiammazione intestinale e a disturbi della coagulazione, senza chiarire le cause della morte.

Tra i palestinesi non pochi sospettano che questo esito sia stato «deciso a tavolino», per mischiare le carte, in modo da evitare che la prova dell’avvelenamento da polonio porti ad accusare Israele dell’assassinio, con inevitabili pesanti conseguenze sul terreno. Il rapporto francese senza dubbio rovescia le carte in tavola. È forte perciò la soddisfazione di Israele. L’esito dell’indagine di Parigi non rappresenta «alcuna sorpresa per noi, sono state avanvate accuse senza fondamento, senza la minima prova. Israele non ha ucciso Arafat, punto e basta», ha commentato il portavoce del ministero degli esteri israeliano Yigal Palmor.