«La Spagna non è il porto più sicuro perché non è quello più vicino secondo quanto stabilito dal diritto internazionale». Poche parole ma più che sufficienti per allineare anche Madrid alla decisione già presa da Italia e Malta di chiudere i proprio porti ai 141 migranti che da quattro giorni si trovano a bordo della nave Aquarius.
Lo stop imposto ieri dal governo Sanchez va in rotta di collisione con la disponibilità offerta nel primo pomeriggio dall’amministrazione di Barcellona ad accogliere la nave della Ong francese Sos Mediterranée e di Medici senza frontiere. E sembra mettere fine, almeno per ora, alla linea dell’accoglienza mostrata a giugno, quando la Aquarius venne invece autorizzata a sbarcare a Valencia 629 migranti raccolti nel Mediterraneo. E del resto, come fanno notare da Sos Mediterranée, non sarebbe neanche ipotizzabile pensare alla Spagna come possibile approdo per il futuro. «E’ distante centinaia e centinaia di miglia dal luogo in cui avvengono le operazioni di soccorso e già a giugno abbiamo dovuto far fronte a mari e venti molto forti» spiega Nicola Stalla, coordinatore salvataggi della ong francese. «Servono porti vicini e gli unici sono in Italia e a Malta, visto che la Tunisia non risulta avere un efficace sistema di accesso alle procedure di asilo».

Proprio da Roma e La Valletta sono però arrivati gli ormai consueti «No» all’apertura dei porti. Venerdì, al momento dei due salvataggi, le operazioni di soccorso sono state coordinate da Tripoli che in seguito però, per la prima volta, ha dato indicazione alla Aquarius di cercare un porto sicuro dove sbarcare i migranti anziché ordinare, come successo finora, di portarli in Libia. Cosa che ovviamente la ong francese non avrebbe mai fatto, ma che potrebbe segnare l’avvio di una prova di forza di Tripoli nei confronti dell’Italia.

A seguito di tutto questo, mentre dal centro di coordinamento dei soccorsi di Roma non arriva nessuna indicazione all’Aquarius, si scatena la solita battaglia mediatica da parte dei ministri Salvini e Toninelli, con il primo che oppone l’ormai consueto «mai in Italia» e il secondo che invita la Aquarius a recarsi in Gran Bretagna visto che batte bandiera di Gibilterra. «Come al solito c’è una cattiva interpretazione del diritto marittimo internazionale», prosegue Stalla. «Lo stato di bandiera di una nave ha responsabilità e compiti che non riguardano il coordinamento di eventuali operazioni di soccorso, che competono invece agli stati ai quali appartiene l’area Sar in cui queste avvengono. Sarebbe come affermare che se una nave che batte bandiera giapponese interviene in aiuto di un barcone nel Mediterraneo, poi i migranti devono essere sbarcati in Giappone». Secondo l’emittente di Gibilterra Gbc l’amministrazione marittima avrebbe comunicato ai proprietari della Aquarius un avviso di rimozione della registrazione, che verrebbe interrotta dalla prossima settimana. Cosa che, se confermata, impedirebbe così alla nave di attraccare.

Ieri sera la Aquarius navigava tra Malta e Italia a 32 miglia dalle nostre coste, aspettando inutilmente di un segnale che indicasse la direzione verso la quale dirigersi. Niente da Malta e Italia, ovviamente, ma niente, a parte un generico impegno a muovere la diplomazia, anche dall’Unione europea che però al massimo può fare pressione sugli Stati membri perché collaborino visto che la competenza sui porti non gli appartiene. Per ora la situazione a bordo della nave non presenta particolari criticità, grazie anche alle modifiche apportate a Marsiglia all’imbarcazione proprio nell’eventuali che potessero ripetersi permanenze in mare prolungate a causa dell’ostilità di alcuni governi. I 141 migranti, tra i quali 67 minori non accompagnati e 47 donne, provengono in maggioranza da Somalia ed Eritrea e quindi in diritto di chiedere asilo politico. Tra di loro anche un neonato di appena nove mesi. «Molti di loro soffrono di malnutrizione cronica e di grande stanchezza, fisica e psicologica come conseguenza di un viaggio molto lungo e sofferto in particolare durante il passaggio in Libia», spiegava ieri David Beversluis, medico di Msf che si trova a bordo. «Queste persone sono dei sopravvissuti -prosegue il medico – Le loro storie sono le stesse: viaggi estenuanti e pericolosi, violenze e altre sofferenze vissute sulla propria pelle».

Una possibile soluzione alla vicenda potrebbe arrivare dalla Francia. Jean Claude Gayssot, direttore del porto di Sete ed ex ministro dei Trasporti durante il governo guidato da Lionel Jospin, si è detto pronto ad accogliere la nave «non appena le autorità francesi lo permetteranno». La parola, quindi, spetta adesso al presidente Macron.