Una superficie monocromatica e frastagliata riempie lo schermo. Una lenta carrellata a destra non mostra altro che identiche corrugazioni. E quando la musica esplode nella colonna sonora viene il sospetto che il regista stia giocando con lo spettatore. Nascondere qualcosa di evidente è da sempre il divertimento preferito di Victor Kossakovsky: in Aquarela, presentato ieri Fuori concorso, il regista di Pietroburgo non fa che filmare un elemento comune come l’acqua, ma quelle che passano sullo schermo sono visioni straordinarie che colpiscono, affascinano e interrogano.

SI COMINCIA dal lago Baikal, ghiacciato per molti mesi dell’anno e usato dai locali come una sorta di autostrada da percorrere a tutta velocità per spostarsi da una riva all’altra. Il passaggio dell’acqua allo stato solido offre opportunità di mobilità che Kossakovsky trasforma in risorse narrative: le auto che sfrecciano all’orizzonte sembrano visioni fantascientifiche finché, con la primavera, le fratture nella superficie si moltiplicano e i veicoli si incagliano, sbandano, si inabissano. Il film trova un momento slapstick dove, secondo le leggi antiche della comicità, si ride delle disgrazie altrui e allo stesso tempo si inizia a guardare il mondo con occhi diversi. La macchina da presa prende il largo e con il movimento del disgelo finalmente riconosciamo nelle superfici uniformi il profilo di enormi montagne di ghiaccio, solo in apparenza immobili.

La parte centrale del film è una sinfonia di immagini girate a 96 fotogrammi al secondo, dove la fusione del ghiaccio provoca crolli, sprofondamenti e onde gigantesche che il rallentamento rende monumentali per quanto provvisorie.

TALVOLTA i tagli di luce fanno assomigliare il ghiaccio ad altre cose: nei dettagli liquidi sembra di vedere interiora di animali, nelle cristallizzazioni più strane opere di ingegneria, nei profili arrotondati dolci golosi. Illusioni che, abilmente pilotate da Kossakovsky, propongono una riflessione sulla forma che aggiorna quella di un lavoro del 2003, Tishe! dove i rattoppi della strada davanti casa suggerivano un ragionamento sull’astrattismo sovietico.

Cosa vediamo – si chiede e ci chiede Kossakovsky – quando posiamo gli occhi sulla realtà? La cosa interessante è che la domanda che ogni documentarista giudizioso prima o poi si pone in Aquarela diviene uno spettacolo grandioso, dove lo stupore e il godimento della forma si trasformano gradualmente in consapevolezza. A questo punto anche il ragionamento ecologico che prende forma con l’andare del film assume un senso profondo: gli allagamenti, gli alberi sradicati e le case scoperchiate dall’uragano Irma non appaiono semplicemente come un’illustrazione degli effetti nefasti del riscaldamento globale, ma vanno a costituire il polo di una visione sistemica dove la terra è un’unità articolata e complessa, all’interno della quale è obbligatorio riconsiderare la posizione dell’uomo. Kossakovsky lo fa senza usare una parola e anche questo non è un merito da poco.