La vérité (Shinjitsu) di Kore’eda Hirokazu è il film che aprirà l’edizione della Biennale del cinema di quest’anno, un inizio asiatico per un festival che anche in questa edizione proporrà una scelta di lavori dalla parte estremo orientale del continente, questa volta non troppo nutrita in verità. Il film di Kore’eda è in realtà una coproduzione franco-giapponese ed è il primo film per il regista di Shoplifters, con cui vinse a Cannes lo scorso anno, realizzato fuori dal suo paese e con un cast internazionale. Una sfida ed un modo di mettersi in discussione per Kore’eda, che è solito affidarsi ad un gruppo di attori giapponesi quasi fissi, e che in quest’opera invece ha “dovuto” dirigere un gruppo di star di calibro internazionale come Catherine Deneuve, Juliette Binoche ed Ethan Hawke. La storia è quella del rapporto fra un attrice e sua figlia, che si incontrano dopo tanto tempo, e del loro confrontarsi fra ricordi, verità negate ed attriti passati che riemergono. “Una piccola storia di famiglia che si svolge principalmente negli interni di una casa” come ha descritto il film lo stesso regista. Insomma, benchè girato al di fuori dall’arcipelago, la pellicola continua quell’esplorazione delle tematiche familiari così ben tratteggiate da Kore’eda negli ultimi suoi lavori.

Sempre in competizione, Saturday Fiction del cinese Lou Ye con la presenza, fra gli altri, della magnetica Gong Li in un film che vede come protagonista un’attrice, anche qui come nel lavoro di Kore’eda, ed il suo ritorno nella sua Shanghai occupata dal Giappone nel 1941, prima dell’attacco a Pearl Harbor. Chissà se anche questo suo nuovo lavoro scatenerà le critiche del governo del suo paese, come spesso è accaduto in passato. Lou con i suoi lavori ha toccato infatti argomenti delicati e invisi alle autorità del suo paese e per questo è stato spesse volte ostracizzato. Il suo debutto Weekend Lover era stato ritirato e dichiarato osceno per due anni, mentre Suzhou River del 2000, storia ambientata in una Shanghai in piena mutazione urbana, per molto tempo è rimasto un film proibito nel grande paese asiatico.

Ma forse il film estremo orientale più interessante in competizione è No. 7 Cherry Lane, lungometraggio animato diretto da Yonfan e prodotto a Hong Kong, il primo film d’animazione in lingua cinese ad essere stato invitato nella principale sezione a Venezia. Mentre il pubblico festivaliero ed internazionale è abituato all’animazione giapponese già da decenni, negli ultimi tempi delle voci originali stanno emergendo anche dagli altri paesi del continente. Il cinese Big Fish & Begonia del 2016 era un bel esempio di animazione d’intrattenimento per tutta la famiglia, mentre una vera sorpresa è stato il taiwanese On Happiness Road del 2017, che legava ricordi personali e la ricerca di una composita identità, alle lotte e le proteste durante gli anni 80 nell’isola. No.7 Cherry Lane si preannuncia, almeno tematicamente, abbastanza vicino a quest’ultimo lavoro, ambientato sul finire degli anni sessanta a Hong Kong e con protaginista Ziming, uno studente universitario alle prese con la scoperta del mondo, ma con riverberi del periodo del Terrore Bianco a Taiwan, luogo legato a sua madre. Yonfan, che è un artista a 360 gradi, oltre ad essere regista è anche un aprezzato fotografo e scrittore, ha lavorato quasi segretamente a questo film per più di un decennio, cercando di trasporre in immagini animate una serie di racconti da lui stesso scritti. Inevitabile che un film di un regista di Hong Kong che parla di un epoca di subbuglio e di lotta come gli anni sessanta, sia nella città asiatica che a Taiwan, non potrà che offrire suggestioni e visioni parallele con il momento attuale a Hong Kon, dove le proteste e la complicata relazione con il governo cinese si stanno quasi trasformando in guerra civile.

Completeranno la presenza estremo orientale nelle sezioni principali del festival Baloon, del cinese, ma nato in Tibet, Pema Tseden, Verdict del filippino Raymund Ribay Gutierrez e Sand del sudcoreano Kyungrae Kim, tutti in Orizzonti. Corposa la partecipazione asiatica nella sezione dedicata ai lavori in realtà virtuale, specialmente quella taiwanese, con alcuni nomi di registi già conosciuti in ambito festivaliero come il talentuoso Midi Z, Ghost in The Shell: Ghost Chaser della Production I.G, e la collaborazione, già vista a Cannes peraltro, fra Laurie Anderson e l’artista taiwanese Huang Hsin-Chien con To the Moon. Per finire in bellezza, il festival organizzerà anche un evento speciale con la proiezione di uno dei capolavori di Tsai Ming-Liang, Goodbye, Dragon Inn (2003), opera restaurata e da esperire assolutamente nella sala cinematografica, tanto per rendere omaggio al malinconico tema del film stesso, quanto per poter assaporare la lenta viscosità delle immagini create dal regista.