Paolo Grassi la chiamava “prezzemolo” ed oggi quell’affettuoso nomignolo, affibbiatole dall’uomo che più riconosce come Maestro di vita e di mestiere, sembra ancora calzargli a pennello per come riesce ad interpretare in modo totale e totalizzante il teatro. Lei è Andrée Ruth Shammah, anima e qualcosa in più del Teatro Franco Parenti di Milano, una volta Salone Pier Lombardo, fondato all’inizio degli anni settanta con Giovanni Testori e per l’appunto Franco Parenti. Il trio ricavò da un cinemino di terz’ordine uno dei teatri che contribuirono più profondamente a rinnovare il linguaggio del teatro italiano con ”L’Ambleto”, primo pannello di quella che sarà, con “Macbetto” ed ”Edipus”, la “Trilogia degli Scarrozzanti”. Intanto, questo 2018 si è aperto per la Shammah con l’allestimento di “Cita a ciegas” (Appuntamento al buio), il testo più celebre del drammaturgo argentino Mario Damient per la prima volta messo in scena in Italia. Non solo: Damient s’appresta ad essere per la regista anche l’ultimo in ordine di tempo ad entrare nel conto di una lunghissima schiera di autori amatissimi, inaugurata da Testori e proseguita con Goldoni, Pinter, Marivaux, Shakespeare, Eduardo e Molière. Ma non è finita perché quest’anno per la Shammah sarà un anno di tondi genetliaci e anniversari, a cominciare dai suoi 50 anni di carriera. E dal 1968, con Andrée giovane e non convinta attrice della Scuola del Piccolo Teatro s’avvia la conversazione:”Ho iniziato come attrice, ma non ero assolutamente portata. M’accorgevo e capivo che ero io a far ridere per come non riuscivo a recitare”. “Poi mi misi a frequentare il corso d’animatori e con altri compagni d’avventura come Gianni Valle e Lorenzo Vitalone animammo il cosiddetto decentramento teatrale con il Teatro Quartiere e divenni assistente di Paolo Grassi”. Sia il compianto Gianni Valle sia Lorenzo Vitalone divennero collaboratori del Parenti. Vitalone lo è tutt’ora. Sono questi anche gli anni in cui si verifica l’incontro con Testori:”che ho conosciuto grazie a mio padre che gli finanziava alcune delle sue scelte artistiche. Comprava e vendeva quadri. Era anche il periodo in cui stava lavorando all’ “Erodiade”. Avevo circa vent’anni, mi rivedo come una ragazza intraprendente e molto curiosa; frequentavo assiduamente il suo studio in Via Fatebenefratelli e ricordo ancora che mi veniva ad aprire la cameriera Adele che ci preparava il caffè mentre parlavamo”. In quelle discussioni nacque l’avventura del Pier Lombardo e l’esordio alla regia che prese forma o poco a poco con l’incontro tra Testori e Parenti:”Allora Franco si sentiva un po’ sfruttato dal Piccolo, stava recitando La moscheta di Ruzante e portai Testori a teatro”. Da lì s’abbozzò il lavoro intorno alla scrittura e alla messa in scena dell’”Ambleto”, incrocio tra la lingua del Ruzante e quella del Porta che pure Franco recitava; nel frattempo “Parenti accettò la scrittura nel “Moby Dick” di Carlo Quartucci a Torino e così lavorando sul testo insieme a Testori accettare per disciplina la regia fu una logica conseguenza”. Questo fu l’inizio dell’attività registica che, spettacolo dopo spettacolo, è arrivata all’attuale “Cita a ciegas” (in scena al Teatro Franco Parenti fino al 29 marzo con Gioele Dix, Elia Schilton, Laura Marinoni e Sara Bertelà):”E’ un testo che ho immediatamente amato. Una decina d’anni fa Missiroli lo diede da leggere a Fabrizio Gifuni nella traduzione di servizio fatta da sua moglie. Io l’ho letto tutto in una volta tanto che se riesci a farlo non smetti fino alla fine. Più leggi più sale la tensione perché le parole hanno questa capacità di creare immagini tanto che ti pare di vedere le situazioni tanto da pensare anche agli attori che l’avrebbero interpretato”. “Quindi mi son presa una cotta per il libro e così ho curato la traduzione, l’adattamento e la regia; dirò di più: io difficilmente mi muovo da Milano, mi sposto sempre per le stesse vie, da casa mia in Brera al Teatro, ma stavolta sono andata in Argentina, a Buenos Aires”. “Addirittura ho soggiornato in Plaza San Martin e aprendo le finestre che davano giù sul parco potevo vedere la panchina dove sostava Borges”. Perché “Cita a ciegas”, non lo si è ancora detto, è il più sincero omaggio che uno scrittore argentino abbia potuto fare allo scrittore dell’”Aleph” e di “Finzioni” sia per il tratteggio del protagonista, per l’appunto uno scrittore cieco come lo era Borges, sia per la struttura drammaturgica calcata su infiniti fili labirintici del suo mondo letterario. E aggiungendo spago al discorso:”Per L’uomo, il protagonista, avevo visto bene Luigi Lo Cascio che peraltro conosceva e aveva letto il testo a cui però non era piaciuto”. Un punto di forza della Shammah è stata sempre la scelta degli attori e il cast di “Cita a ciegas” rispetta in pieno la sua capacità di assemblare varie personalità qui rappresentate da alcuni migliori interpreti del teatro italiano, ai quali per la qualità del testo va aggiunto un surplus di esperienza e di emotività. “La scelta di Gioele Dix nel ruolo di protagonista, in un certo senso, mi è stata suggerita da lui che da tempo desiderava allontanarsi dai classici per affrontare un testo contemporaneo tanto che, in un primo momento, pensavamo di fare Bernhard”. “Tutti gli altri attori hanno detto subito di sì! dalla Marinoni, che sarà Gertrude nella ripresa che farò il prossimo anno dei “Promessi sposi alla prova” del mio Testori, a Elia Schilton che più volte è stato al parenti con altre produzioni e alla Bertelà con cui ho lavorato nel Pinter di “Una specie di Alaska”. D’altronde “la mia grande e bella età mi consente di fare e provare tutto ciò mi pare. Come di essere protettiva verso i giovani”. Lo è stata per attori, per registi, per drammaturghi come Gaetano Sansone di cui ricorda con emozione “Bosco di notte”, spettacolo di inizio anni ’80 in cui partecipava un giovanissimo Crozza. ”Un’ultima esperienza è stata con gli allievi della Scuola della Pergola di Firenze. Pensavo di usare la scuola in un modo ed è stato invece il contrario. C’è della responsabilità in tutto questo”. L’uso di questa parola così carica di senso appartiene soprattutto al rapporto che , giorno per giorno, che s’intrattiene con il Teatro Franco Parenti e con chi lo frequenta in modo assiduo e costante:”Bisogna saper parlare a pubblici diversi. L’esempio del Parenti è sotto gli occhi di tutti. Ci sono storie al mattino, spettacoli in tre sale la sera, al pomeriggio spesso presentazioni di libri e letture. Tutto sempre in linea con ciò che responsabilmente s’intende dire, avendo a mente una comunicazione diretta con il pubblico che non va mai dimenticato deve essere sempre rispettato”. In apertura è venuto fuori il nome di Paolo Grassi, di cui ricorrerà nel 2019 il centenario della nascita:”Come ho detto miei maestri sono stati Franco Parenti e Giovanni Testori, ma Grassi per me è stato tutto, anche una rovina. Non ho visto più nessuno avere una tale passione, una follia così razionale nel difendere le proprie ragioni e del suo teatro. Litigava e comprometteva rapporti di continuo, ma ho capito dopo che lo faceva per proteggere Strehler. Con Timi ed è potuto diventare il Timi che conosciamo io ho fatto lo stesso. Credo che Grassi sia stato un vero maestro”.