Il governo appoggiato dalle sinistre parlamentari guidato da António Costa è arrivato al suo terzo Orçamento de Estado 2018 (OE2018) senza che ci siano stati particolari dissidi. Tre aspetti devono essere chiariti prima di entrare nella disanima dell’Orçamento.

Primo: trattandosi di bilancio si parlerà soprattutto di cifre ed è quindi utile porre i termini per il confronto. Il Portogallo ha un Pil che è circa un decimo rispetto a quello italiano e una popolazione di circa un quinto. Il Pil pro capite è di 19mila euro circa contro i nostri 30mila e il salario medio di 846 euro contro 1.560. Una disuguaglianza tra le più alte in Europa: l’indice di Gini è del 34% (in discesa), contro i 32%.

Secondo: la cornice dentro la quale le negoziazioni per il bilancio avvengono è quella determinata dai trattati continentali: siamo sempre nel quadro dell’austerità, declinata però, in modo decisamente più favorevole ai ceti deboli della società.

Terzo: le previsioni macroeconomiche. Riduzione del deficit dall’1,4% all’1%, riduzione del debito pubblico dal 126,2% al 123,5%, riduzione della spesa pubblica in rapporto al Pil dal 44,8% al 44,5% e aumento del saldo primario, al netto dei interesse sul debito, dal 2,5% al 2,6% del Pil.

Insomma, il Portogallo non smette di essere un buon alunno, tuttavia, pur nel ristrettissimo spazio di azione, la consistente crescita del Pil, stimata sopra il 2% per il prossimo anno, permette un certo margine di manovra.

Cominciamo dalla madre di tutte le imposte, l’Irs (persone fisiche). Su tutti i livelli è stata eliminata la sovratassa introdotta negli anni del governo di centro destra.

Ma non solo, perché sono stati creati due nuove aliquote, che passano da 5 a 7, ed è stata alzata l’esenzione da 8.500 euro a 8.850. In generale pagheranno meno coloro che hanno un reddito mensile inferiore ai 3.200 euro (in sostanza le prime tre aliquote) e uguale gli altri (al netto della sovratassa chiaramente).

Per rafforzare il potere di acquisto inoltre è stato deciso un aumento delle pensioni minime (poco in realtà: una decina di euro al massimo per quelle sotto i 600 euro), l’abrogazione del taglio del sussidio di disoccupazione dopo il sesto mese e lo sblocco della progressione delle carriere nell’amministrazione pubblica.

Forme indirette di sostegno al reddito: maggiori deduzioni famigliari, asili, gratuità dei libri di testo e aumento del Rendimento Social de Inserção, ovvero un reddito complementare che si aggiunge a chi abbia entrate inferiori ai 183 euro mensili.

È intorno al deficit all’1% che ruota tutto l’OE2018. La spesa aumenta di circa 2,5 miliardi e le entrate cresceranno di 3,2 (+3,9%). Aumenta l’Iva e altri contributi su: alcolici, bevande con alto tenore di zuccheri, automobili, sigarette e benzina (circa 1,2 miliardi di euro).

Privatizzazioni, quasi un miliardo, risparmio sui tassi di interesse sul debito pubblico, grazie anche al miglioramento del rating, (un risparmio stimato in 450 milioni di euro).

Cresce l’investimento pubblico, di circa 4,5 miliardi: scuole, ospedali, rete ferroviaria e trasporti pubblici in generale.

Infine il governo ha varato un piano per la riduzione della precarietà nell’amministrazione pubblica, 3.500 insegnanti saranno assunti a tempo indeterminato e, da ora, dopo il terzo anno di ruolo, scatterà la contrattazione obbligatoria.

In conclusione, siamo di fronte a un timido ma importante tentativo di redistribuire la ricchezza.

Eppure, anche se è indiscutibile il carattere progressista dell’esecutivo, permangono consistenti sacche di povertà che in forma più o meno grave riguardano anche la classe media. Non c’è dubbio quindi che questo sia il miglior governo cui il Portogallo possa auspicare e che, grazie alla capacità del Bloco de Esquerda e del Partido Comunista di spostare il baricentro dell’azione politica a sinistra e del Partido Socialista di accettare di lasciarsi contaminare, i livelli di vita di migliaia di persone stiano in questi anni migliorando sensibilmente, anzi, che lo stato sociale sia stato letteralmente salvato da un piano di aggressione proposto esplicitamente in campagna elettorale dalle forze di centro-destra.

Tuttavia senza che vi sia un profondo cambiamento continentale anche i successi lusitani non saranno mai in grado di intaccare la struttura stessa della disuguaglianza.