Sebbene con un’affluenza inferiore – e non di poco – ai desiderata della giunta militare, il 60% dei votanti ha approvato la nuova costituzione del paese. Si tratta di una carta che permette ai militari un controllo ancora più ferrato sulla politica, e che prevede la nomina di un premier non eletto dal popolo. Saranno quindi i 250 senatori selezionati dalla giunta, il Consiglio nazionale per la pace e l’ordine, a eleggere il primo ministro insieme ai 500 membri della Camera dei rappresentanti. I due principali partiti politici del paese si erano espressi contro la nuova costituzione.

Il prossimo anno sono previste in Thailandia elezioni legislative. In sostanza, è istituito un parlamento bicamerale: il Senato è interamente nominato dall’esercito. Si tratta di una difesa della monarchia, dimostrata dal voto positivo della capitale e delle sue elite, nonché del sud storicamente monarchico. Secondo gli osservatori il sistema elettorale proporzionale porterà alla formazione di parlamenti frammentati, il cui trait d’union sarà costituito proprio dalle forze armate. Non è un caso che i «no» sono arrivati per lo più dal nord est del paese quello più fedele all’ex premier Thaksin Shinawatra.

Quest’ultimo, auto esiliatosi, è ancora popolare specie tra le classe medio basse, ma la potenza di fuoco della campagna del «no» si è scontrata con una sorta di divieto. Arresti e impedimenti hanno portato la maggioranza dei votanti a votare in favore della nuova costituzione, stipulando quindi una sorta di plebiscito nei confronti della giunta militare che guida il paese da ormai due anni. Sullo sfondo la figura del re Bhumibol che ormai è anziano e che a 88 anni vive in ospedale. Il principe ereditario Vajiralongkorn – dal canto suo – pare distante dai favori dei militari, perché non gode della stessa autorità morale del padre.