Sosteneva Sigmund Freud nel saggio sulla Gradiva di Jensen che l’Interpretazione dei sogni risulta un «libro difficile», concepito per «chi non pretende» di risparmiare «fatica» nell’analisi di un «problema complesso». A distanza di centoventi anni dalla prima apparizione dell’opera, nel novembre del 1899, le parole di Freud continuano a risuonare per noi come una sfida. L’opportunità di raccoglierla ancora una volta ci viene offerta da Bollati Boringhieri, che per celebrare l’anniversario della pubblicazione ha ristampato l’Interpretazione dei sogni nella classica traduzione di Elvio Fachinelli e Herma Trettl (a cura di Renata Colorni, pp. 604, € 16,00). Il testo chiave della psicoanalisi – ci chiediamo dunque oggi, in occasione della singolare ricorrenza – è davvero così «difficile» come affermava Freud?

Una prima ricognizione sembra confermare gli avvertimenti ricevuti. «Tutto – assicura Freud – è ideato sul modello di una passeggiata immaginaria». Eppure, non appena ci mettiamo in marcia il tragitto si snoda come un percorso a ostacoli, a cominciare dai primi due capitoli in cui la trattazione, dopo aver passato in rassegna le teorie dei predecessori, si esibisce nell’analisi inaugurale di un «sogno campione». Se lo stesso Freud identificava queste fasi del cammino con un «bosco» senza «prospettive» e con una «stretta gola», destinati a suscitare le obiezioni, le resistenze o addirittura la fuga dei viaggiatori, la situazione non migliora quando, con il terzo capitolo, si spalancano davanti a noi i cancelli del paese dei sogni.

Una passeggiata tra gli enigmi
Varcare i confini del nuovo territorio significa sottoscrivere un contratto di rigido apprendistato. Travolti dalla corrente di «problemi» generati dal sogno, dovremo innanzitutto esercitarci, sulla base degli svariati esempi proposti da Freud, a smascherare il «contenuto latente» che il sogno nasconde per istigazione della censura dietro la facciata del «contenuto manifesto». Subito dopo, scegliendo un diverso «punto di partenza», saremo chiamati a risalire fino agli oscuri depositi da cui i sogni prelevano il loro materiale da costruzione; saremo poi costretti a impegnarci su una «nuova strada», per studiare la grammatica di un luogo dove le iscrizioni, deformate dalle procedure del «lavoro onirico», ci appaiono come arcani geroglifici. E se poi non bastasse un simile tour de force, dovremo infine sprofondare con l’ultimo capitolo nel buio di un abisso – l’inconscio – nei cui meandri persino Freud ammette di avanzare a tentoni e senza garanzie di manovra.

Al termine del viaggio, c’è da sospettare che la strategia della «passeggiata» consista in una sorta di doppio gioco, che da una parte assicura a Freud di stimolare l’attenzione dei lettori, mentre dall’altra gli permette di selezionarli e di esigerli il più possibile pazienti e disposti all’avventura. Ma anche se un manipolo di esploratori scelti riuscirà a scavalcare il sistema di sbarramento dei primi capitoli, come potrà tagliare indenne il traguardo dell’inconscio senza soccombere agli andirivieni e alle insidie del percorso?

Una fiaba, cento fiabe
Non si può negare, a questo proposito, che Freud si comporti come la più scrupolosa delle guide. Oltre a non smettere mai di farci sentire la sua tutela con indicazioni di rotta e preziose anticipazioni sul cammino a venire, la sua voce non manca di indirizzarci ad ogni bivio del discorso verso la «via» più opportuna. Non sono rare le occasioni in cui «l’esposizione» ci concede una pausa per fare il punto della situazione, oppure per offrirci il filo che ci riporti su una pista praticabile. E quando poi si tratta di aiutarci a sciogliere il nodo degli svariati «enigmi» che intralciano il sentiero, il nostro accompagnatore non indietreggia di un solo passo. Pur di offrire esempi indispensabili alla nostra avanzata, Freud non esita a raccontarci e a spiegare, assieme ai sogni di alcuni suoi pazienti, anche i propri, in un dichiarato e costoso «sacrificio» personale che immola l’intimità autobiografica sull’altare della teoria psicoanalitica.

«Nessuna scienza fino a quel momento – avvertono René Major e Chantal Talagrand – aveva attribuito tanta importanza alla storia e alla biografia del suo inventore». Ma allo stesso tempo nessun altro «inventore» era mai arrivato a intrattenere rapporti tanto ambigui con pratiche e trovate narrative così aliene al rigore della scienza medica.

Il racconto della «scoperta scientifica» nell’Interpretazione dei sogni – come ha riconosciuto Mario Lavagetto – risulta imparentato con due modelli estranei al trattato di medicina o di psichiatria: per un verso, fa pensare «a una fiaba, a cento fiabe in cui il protagonista», smarrito nel bosco, raggiunge «un castello o un giardino da esplorare»; per l’altro, ci ricorda «l’attraversamento di un labirinto, dove l’uscita è trovata per calcolo e pazienza».

Ma allora c’è da supporre che Freud abbia organizzato il nostro approdo all’inconscio come una complessa cerimonia di iniziazione tribale, sulla falsariga degli antichi rituali dove un giovane «iniziando», grazie a un percorso di isolamento, morte (simbolica) e successiva risurrezione, otteneva il diritto di divenire membro di una tribù. Basta ricordare che tanto il bosco delle fiabe quanto il labirinto – secondo gli studi di Vladimir Propp e di Hermann Kerr – presentano uno strettissimo legame con il rituale iniziatico. Mentre il primo rispecchia, per Propp, la foresta isolata alle soglie del «regno dei morti» nella quale si eseguiva il rito, il secondo costituirebbe, secondo Kerr, la «materializzazione pressoché perfetta» del processo di ricerca e rinascita che conduce l’iniziando a riscoprire se stesso.

Lo statuto di documento storico
Solo chi accetta di far morire i propri originari pregiudizi sul mondo onirico attraversando prima il bosco poi il territorio labirintico dell’Interpretazione dei sogni potrà dunque rigenerarsi ed entrare a far parte della tribù della psicoanalisi. Con la differenza che questo simulato rituale, nel nostro caso, non si può compiere in solitudine, ma si basa su una decisiva spartizione delle mansioni. Perché se a noi lettori Freud assegna la parte degli iniziandi da ammaestrare e tenere sotto scorta, per sé invece riserva il ruolo dell’intrepido risolutore di enigmi; e anche a costo di essere scambiato per un guaritore – o per un ciarlatano – finisce per assomigliare agli «sciamani» che una volta caduti in trance affrontano – come ha spiegato Joseph Campbell – un «faticoso viaggio» negli abissi infernali alla ricerca delle «anime perdute», ritrovandosi circondati da un gran numero di misteriosi «ostacoli da vincere».

Non dobbiamo tuttavia rimanere delusi se lo sciamano Freud, dopo aver raggiunto le profondità dell’inconscio, decide di interrompere il sentiero di un’indagine che gli appare superiore alle sue forze. Più che come un libro «difficile», l’Interpretazione dei sogni continua a presentarsi come un testo provvisorio, che verrà ripreso nel corso di successive e non meno ardue esplorazioni. Anche per questo motivo Freud non ha mai voluto riscrivere l’opera o smantellarne l’impianto alla luce delle sue ulteriori scoperte, limitandosi ad aggiungere alla «spiegazione», nel corso degli anni, soltanto ragguagli introduttivi, note e precisazioni. In questo modo, come auspicato da una prefazione del 1918, anche a distanza di più di un secolo l’Interpretazione dei sogni resta un «documento storico», il primo passo e la porta di accesso verso un’analisi senz’altro faticosa, non esaurita e forse inesauribile.