Cartagine, la formidabile nemica di Roma – Delenda Carthago – è oggi un agiato sobborgo a nord-est di Tunisi. Costellata da sontuose ville in stile arabo-andaluso e luoghi d’otium, custodisce le rovine disperse di un sito archeologico universalmente noto, proclamato patrimonio mondiale dell’Unesco nel 1979.
A Cartagine si erge il Palazzo della Repubblica, costruito all’indomani dell’indipendenza per riflettere le ambizioni di Habib Bourguiba. Non a caso fu proprio il primo presidente tunisino a plasmare l’identità del paese sull’esaltazione della civiltà punica, contrapponendo la figura di Annibale al panarabismo. Accanto al palazzo, la cui opulenza è balzata agli occhi del mondo alla caduta di Ben Ali, si distendono le vestigia delle Terme di Antonino, uno fra i maggiori complessi termali dell’Impero. Della Cartagine romana, capitale della provincia d’Africa al termine della terza guerra punica e poi colonia sotto Cesare, sono visibili i resti di tre edifici per spettacolo – teatro, odéon e anfiteatro – e un insieme di lussuose domus che guardano al mare. Frammenti architettonici e scultorei del monumentale foro di Augusto persistono sulla sommità di Byrsa, il cui nome ricorda la leggenda sulla fondazione di Cartagine da parte di Elissa / Didone.

LE FONTI CLASSICHE narrano che la principessa fenicia fuggì da Tiro a causa di discordie col fratello Pigmalione. Approdata sulle coste nordafricane dopo una sosta a Cipro, Elissa sarebbe ricorsa a un’astuzia per aggiudicarsi il terreno equivalente a una pelle di bue (in greco, byrsa). Tagliando la pelle in strisce sottilissime, riuscì a coprire uno spazio sufficientemente vasto: così ebbe origine Qart Hadasht, la città nuova. Se dal mito traspare un nucleo di verità storica – l’espansione dei Fenici nel Mediterraneo tra la fine del IX e l’VIII secolo a.C. – la tragica morte di Elissa sul rogo prelude al destino di Cartagine, distrutta nell’incendio ordinato da Scipione Emiliano.

GLI SCAVI INTRAPRESI a partire dall’Ottocento sulla collina di Byrsa hanno messo in evidenza strati relativi al fatale assedio: tracce di fuoco su blocchi di pietra, travi carbonizzate e cadaveri adagiati sull’ultimo livello di occupazione punica. Nessuna speranza, invece, di rinvenire sull’acropoli i ruderi della cinta muraria e del maestoso tempio di Eshmun (Asclepio) con i sessanta gradini di cui favoleggiano gli autori antichi. Appiano riporta che una commissione del senato si recò da Roma a Cartagine per assicurarsi che della città non fosse sopravvissuto neppure un lembo e che sul suo perimetro fosse stata gettata una maledizione.

È forse da questa notizia che si sviluppò la credenza secondo la quale i Romani provvidero a rasare al suolo i residui di Cartagine con un aratro, dopo aver cosparso il suolo di sale. Ma le consegne del senato non furono rispettate alla lettera se già nel 1859 le ricerche di Charles E. Beulé portarono alla scoperta dei lacerti di alcune abitazioni bruciate dai soldati di Scipione nel 146 a.C. I lavori di età augustea hanno obliterato le testimonianze di epoca punica ma hanno permesso di preservare, sui fianchi di Byrsa, un intero isolato residenziale, riportato alla luce dalla missione archeologica francese. Il quartiere Hannibal, contraddistinto da case a più piani, corrisponde agli ultimi anni di vita di Cartagine e sovrasta installazioni artigianali – in particolare metallurgiche – e una necropoli arcaica.

CARTAGINE FU DEFINITA da Strabone una «nave all’ancora»: la sua posizione all’estremità di un golfo e su una penisola in forma di freccia, la proiettò naturalmente sul mare. A cavallo tra i due bacini del Mediterraneo, divenne per vocazione una potenza economica, istituendo dal V secolo a.C. una rete di avamposti commerciali lungo le coste nordafricane, in Sicilia, Sardegna e Spagna. L’esigenza di difendere tali postazioni resero la marina cartaginese una delle più sofisticate del mondo antico. Capolavoro di ingegneria era anche il doppio porto, caratterizzato da un bacino rettangolare per le navi mercantili e da uno circolare riservato alle navi da guerra, con al centro l’isola dell’ammiragliato. La forma dei porti è ancora riscontrabile nella zona lagunare a sud dell’odierno promontorio. I due bacini comunicavano fra loro ma ciò che si svolgeva nel bacino circolare doveva restare segreto. Occupata dai Guardiani della rivoluzione, che durante il governo della troika vi praticavano attività abusive, l’area dei porti punici è stata di recente liberata grazie all’impegno di un’associazione di cittadini. Il problema della tutela di Cartagine, minacciata per tutto il ventennio di dittatura dalle speculazioni edilizie della famiglia Trabelsi, è molto sentito dalla società civile, che denuncia i ripetuti episodi di corruzione e il traffico di reperti.

NEI PRESSI DEL BACINO rettangolare dei porti era ubicato il tofet, allo stesso tempo necropoli e santuario all’aperto. Scoperto nel 1921 da due scaltri appassionati di antichità, consta di diversi strati di offerte votive, ciascuno dei quali contiene avanzi d’ossa calcinate e cenere, talvolta accompagnati da gioielli e amuleti. Quest’ultimi – in forma di piccole divinità o testine dai tratti tipicamente orientali – illustrano, assieme alle maschere apotropaiche, l’abilità dei Cartaginese nell’arte minuta.

Il deposito, aperto alle persone di ogni condizione, era segnalato da una stele nella quale si esplicava una formula canonica : «Alla Signora, a Tanit», «Al Signore, a Baal Hammon». Tanit è attestata dal V secolo a.C., prendendo progressivamente il posto della fenicia Astarte; la stretta connessione con Baal Hammon emerge dal frequente epiteto che l’accompagna, «faccia di Baal».

Di remota origine fenicia, l’appellativo Hammon va interpretato come «signore dell’altare per profumi», in riferimento a sostanze odorose bruciate in suo onore. Le analisi osteologiche effettuate sul materiale cartaginese – ma anche su campioni provenienti da Mozia e Tharros – hanno permesso di individuare ossa di bambini, animali e uccelli. Un successivo studio dell’Istituto di medicina legale e sociale di Lille, ha dimostrato che la maggior parte dei soggetti analizzati aveva un età compresa tra i cinque mesi di vita uterina e le settimane immediatamente successive alla nascita. Il tofet appare dunque come il luogo di sepoltura dei bambini nati morti o spirati precocemente.

Nell’immaginario collettivo il termine moloch continua ad evocare le scene di sacrificio umano descritte da Gustave Flaubert nel romanzo Salambò, e mostruosamente rappresentate da Giovanni Pastrone nel film Cabiria. Tuttavia, in base ai dati oggettivi che l’archeologia ha messo a disposizione, non è possibile dimostrare che si trattasse con certezza di riti cruenti. Sgombrata da un’aura di barbarie, Cartagine deve tornare a risplendere nell’orizzonte della nuova Tunisia. L’attacco terroristico che nel 2015 ha colpito il Museo del Bardo con l’intento di dissipare i barlumi di una civiltà cosmopolita ha insegnato che la forza della cultura spaventa quanto i fichi di Catone, rinnovandosi però all’infinito.