L’opinione dominante è sempre la stessa: la Germania è un modello da imitare. In tutto, e quindi anche nel sistema educativo: ci dovrà pur essere un nesso tra le buone performance economiche e la bravura dei suoi scolari, o no? A pensare così è sicuramente il nostro premier Matteo Renzi, che non si lascia sfuggire occasione per dichiararsi estimatore dell’istruzione made in Germany. Il leader del Pd apprezza, in particolare, quell’alternanza scuola-lavoro grazie alla quale i ragazzini tedeschi possono svolgere l’ultimo triennio di obbligo formativo divisi fra un istituto professionale e un’impresa: qui starebbe uno dei segreti del successo della locomotiva d’Europa.
Tutto può essere. E in Germania nessuno – nemmeno a sinistra – mette in discussione questo genere di percorso educativo, che si affianca a quello liceale e a quello tecnico-professionale puramente scolastico. Forze politiche progressiste e sindacati si concentrano semmai nel chiedere che i giovani possano poi davvero restare a lavorare nelle aziende dove sono stati formati, mentre ora accade soltanto in una minoranza di casi. Non solo: qualcuno (ad esempio la Linke, principale partito di opposizione) chiede che il compenso che percepiscono gli «studenti-lavoratori» corrisponda a un vero e proprio salario con il quale potersi mantenere. Oggi, invece, capita che un apprendista parrucchiere in un Land orientale guadagni la miseria di 206 euro al mese.
Avanti con le «riforme», dunque, e importiamo in Italia senza indugio insieme alle auto e agli elettroutensili di altissima precisione anche il sistema scolastico teutonico? Prima di farlo, occorre essere consapevoli che il «modello di successo» si regge su una filosofia ben precisa: la selezione precoce dei bambini. Fra quelli «destinati» a luminose carriere da classe dirigente, e quelli che invece troveranno il loro posto come lavoratori manuali in posizione di subordinazione. Fra chi «deve» andare all’università e chi è meglio che entri in fabbrica (o in un cantiere o negozio…) il più presto possibile. L’età in cui avviene la scelta decisiva? Dieci anni. Quando cioè si conclude il primo ciclo scolastico, quello della Grundschule, l’unico uguale per tutti. Quello è il momento in cui i bambini vengono indirizzati verso «un’istruzione generale basilare» oppure «un’istruzione generale accresciuta» oppure «un’istruzione generale approfondita». Ciascun livello corrisponde a una tipologia di scuola: Hauptschule, Realschule e Gymnasium. Nei primi due anni del secondo ciclo, ai «migliori» è consentito il passaggio da un livello all’altro: quindi, dopo i dodici anni rien ne va plus.
Nonostante il triennio superiore di alternanza scuola-lavoro sia condiviso in modo generalizzato, esistono voci critiche su ciò che viene prima. Le varie forze di sinistra, compresa quella piuttosto annacquata dei socialdemocratici, sono concordi nel sostenere un modello di scuola unitaria, o comunque un po’ meno classista. E in qualche Land accade, per fortuna, che ai ragazzi siano offerti percorsi che li portano a separarsi fra di loro più tardi, cioè al decimo anno scolastico: una possibilità concessa dal fatto che nella Repubblica federale l’ordinamento scolastico è una competenza esclusiva delle singole regioni (o stati federati, che dir si voglia). La prima «scuola media unificata (Gesamtschule)» nacque – e non a caso – nella rivoltosa Berlino ovest nell’anno di grazia 1968. Al di là del Muro, nella Germania realsocialista, la scuola unitaria era la regola ovunque.
Una larga messe di studi mostra che le condizioni di partenza diseguali non vengono superate: solo una piccola minoranza di chi frequenta il Gymnasium, cioè la scuola dei «migliori», proviene dalle famiglie dei ceti più popolari. E se si tratta di migranti, i numeri si fanno ancora più impietosi: non aiuta, ovviamente, il fatto che negli ultimi anni si siano create scuole-ghetto dove i genitori tedeschi non iscrivono più i loro figli. L’esempio forse più noto è quello della Rütli-Schule del quartiere Neukölln a Berlino, dove il 90% degli alunni è di origine non-tedesca: alcuni anni fa guadagnò la ribalta della cronaca per numerosi episodi di violenza e degrado, ora è oggetto dell’attenzione delle istituzioni con moltissimi progetti di sostegno all’integrazione e al successo scolastico.
Prima di importare il sistema della Germania, quindi, bisognerebbe pensarci. E se proprio si vuole, si potrebbe cominciare però dal diffuso stile educativo antiautoritario, e dalle materie che da noi sono completamente dimenticate o quasi. L’educazione sessuale, ad esempio: prevista dalle leggi di molti Länder con la finalità di «determinare la propria vita in libertà e responsabilità», «preparare gli studenti a rapporti paritari con il/la partner» e sviluppare «il consenso verso l’esistenza di differenti orientamenti sessuali» (qui citiamo dalla normativa del Nord-Reno Vestfalia). E l’educazione civica, importantissima. Agli studenti sono insegnati i valori della democrazia nata dalla sconfitta del nazismo, ma senza che ciò si traduca in prediche inascoltabili impartite ex cathedra: al centro della disciplina c’è lo sviluppo di uno spirito critico orientato a cimentarsi con i problemi e le controversie del presente. Imparando, nei limiti del possibile, anche il valore del conflitto. E il diritto alla resistenza contro il potere ingiusto, riconosciuto in Germania persino dalla Costituzione.