I cosiddetti «documentari naturalistici» possono provocare una profonda sensazione di fastidio per l’enorme quantità di scene di predazione. Sensazione che non è dovuta solo alla violenza di ciò che si vede, ma anche alla constatazione che quanto mostrato non esaurisce la complessità del reale. È certo, infatti, che una rappresentazione più corretta dovrebbe prevedere una preponderanza di riprese con animali che brucano, dormono, amano, giocano, collaborano…

Il mutuo appoggio, capolavoro del poliedrico anarchico russo Pëtr Kropotkin (Elèuthera, pp. 389, euro 20) e tradotto per la prima volta dall’originale inglese del 1902, è un utile antidoto alla visione individualista veicolata dalle «descrizioni» di ciò che l’Occidente capitalista ha chiamato «natura». Kropotkin parte da un’attenta lettura dell’opera di Darwin, sottolineando che la lotta per l’esistenza va intesa, con le parole dello stesso scienziato britannico, in «senso lato e metaforico». La lotta per l’esistenza «implica la reciproca dipendenza degli esseri viventi» e questa può sì comportare lo scontro, ma anche – e molto più spesso – l’incontro.

KROPOTKIN, insomma, non è una stravagante anima bella che si allontana dalle teorie darwiniane pur di trovare sostegno alle proprie idee politiche, ma un naturalista a tutto tondo che porta alla luce quanto è stato invisibilizzato da una ben precisa quanto infida ideologia. Ciò è evidente già nel sottotitolo del suo saggio: «un fattore dell’evoluzione». Un fattore che sta emergendo con forza grazie alle acquisizioni dell’etologia e delle neuroscienze, discipline impegnate a «scoprire l’origine dell’istinto del mutuo appoggio in natura», «compito» che Kropotkin saggiamente lasciava «a ricerche successive».

L’enfasi che l’autore pone sulle forze della cooperazione parte dai suoi viaggi giovanili in Siberia, dove la vastità del territorio, la relativa scarsità dei viventi animali e i rigori del clima fanno sì che la rete della vita non si traduca in una lotta di tutti contro tutti, ma in una lotta sociale, tutti assieme, contro l’inclemenza dell’ambiente. Con questo equipaggiamento, Kropotkin intraprende un tragitto che dalle società animali, passando per quelle dei «selvaggi», dei «barbari» e della «città medievale», arriva fino a «noi», un percorso colto e coinvolgente per dimostrare che «gli istinti sociali sono profondamente radicati nella natura umana». Ed è qui che paga il maggior tributo al clima culturale che ancora ci soffoca: l’idea secondo cui esisterebbe una scala naturae che si dipana dai non umani fino agli umani occidentali e quella per cui l’osservazione fintamente neutra della natura chiarirebbe quali siano i comportamenti conformi (da far prosperare) e quali quelli «contro-natura» (da censurare ed eliminare).

NON VI È DUBBIO che la passione politica percorra questo saggio di Kropotkin. Il che più che un limite, come spesso sottolineato dai suoi critici, appare come uno dei suoi lasciti principali: imparare dagli animali «la gioia di vivere», la capacità di affrontare insieme condizioni ambientali avverse, ricostruendo con pazienza e tenacia i propri mondi di vita feriti o distrutti. Oggi più che mai. L’emergenza socio-economica da coronavirus che segue quella sanitaria, richiede, infatti, con urgenza che, contro le forze neoliberiste della vita a distanza, si dispieghi quella politica della solidarietà e del mutuo appoggio – dell’amore – che soffia potente dalle pagine del nobile anarchico.