Falso ideologico in atto pubblico: è il capo di imputazione che la Procura di Torino muove a Chiara Appendino, Sergio Rolando, assessore al bilancio, e Paolo Giordana, capo di gabinetto: un’inchiesta inerente un debito fantasma verso l’immobiliare Ream, messo a bilancio ma poi spostato nel 2018 per far quadrare i conti.

Tutto nasce dalla controversa vicenda di una storica fabbrica torinese, la Westinghouse – settore automobilistico – oggi ridotta a dimora per senza tetto.

Fondata all’inizio del novecento, nel 1942 un bombardamento inglese rade al suolo il capannone, che al termine del conflitto viene ricostruito mantenendo lo stile Liberty: poi il boom, le lotte sindacali degli anni settanta, la crisi e il declino. La fabbrica viene rasa al suolo, rimane lo scheletro di quelli che furono gli uffici: al suo posto negli anni della trasformazione torinese viene ipotizzata la costruzione di una splendida biblioteca, disegnata dall’architetto Mario Bellini: costo della consulenza sedici milioni di euro. Costo stimato per la realizzazione dell’intera struttura duecentoventi milioni. È il 2009 e la grandeur fatta chiedendo soldi alle banche private comincia a presentare il conto, così un tratto di penna cancella tutto. Sul terreno rimane uno di quelli che Marco Revelli definisce «crateri», nonché lo stacco dell’assegno per pagare il lavoro di Mario Bellini. Nel 2015 Corte dei Conti e Guardia di Finanza aprono un’istruttoria per danno erariale. Il cratere del debito di Torino, tre miliardi, ingoia nel 2013 il diritto di superficie, per 99 anni, sull’intera area Westinghouse che viene messa sul mercato.

Sono gli anni dell’opposizione dura in Consiglio Comunale da parte di Chiara Appendino e Vittorio Bertola, consiglieri di minoranza. Nasce il Comitato Ex Westinghouse che si batte contro la vendita del bene comune ormai a pezzi: nel direttivo sono presenti vari attivisti che oggi sono i consiglieri di maggioranza.

Dopo vari tentativi l’area Westinghouse viene assegnata, dalla giunta Fassino, ad Amteco, e il Comune incassa diciannove milioni di euro. Nella partita c’era anche la Ream, immobiliare legata alle fondazioni bancarie, che diede nel 2012 una caparra in previsione di un acquisto diretto, pari a cinque milioni.

Chiara Appendino vince le elezioni nel giugno del 2016, ed eredita, oltre al maxi debito, il «pagherò» che deve restituire a Ream.

Nell’autunno del 2016 la maggioranza cinque stelle vota la delibera proposta dal vicesindaco, Guido Montanari, che dà il via libera alla vendita delle aree già bandite e assegnate. E approva l’utilizzo degli oneri urbanistici per la spesa corrente.

Il cratere del debito inghiotte la credibilità del M5s, che si rimangia un pezzo importante del programma elettorale pur di far quadrare il bilancio ed evitare alla città l’onta del commissariamento.

Passa il tempo ma il bilancio della città non quadra mai, debito e tagli dei trasferimenti sono incontenibili.

Rimangono in sospeso i cinque milioni che la Ream chiede indietro, ma non vengono iscritti a bilancio preventivo 2017 del Comune perché servirebbe una copertura.

Il cratere «inghiotte» direttamente Chiara Appendino, il suo assessore al bilancio Sergio Rolando, e il capo di gabinetto Paolo Gioradana: la Procura di Torino li accusa di falso ideologico in atto pubblico, perché i soldi richiesti da Ream vengono spostati, nella notte del scorso tre maggio, con un tratto di penna a margine del bilancio, nel 2018. Sindaca e assessore si precipitano in Procura dal Giudice Marco Gianoglio, dove sostengono che quel denaro sarebbe oggetto di trattative che coinvolgono anche «altri tavoli». Di fronte al magistrato, appena poche ore dopo la notifica dell’avviso di garanzia, vogliono chiarire: cosa? Probabilmente che quanto le viene contestato è pratica comune che per lei diventa speciale? La plateale facilità con cui il debito viene spostato nel 2018, un tratto di penna su un bilancio pubblico, mette in evidenza il crinale che separa il lecito, che significa morte politica, e l’illecito – o presumibile tale – che però permette la sopravvivenza.

Il M5s torinese si barrica in un mesto silenzio: l’accusa è pesante, il baratro della nemesi è a un passo, il mito dell’onestà mostra tutta la sua doppia lama. L’opposizione è tutta garantista – in particolare i due consiglieri comunali da cui parte l’impulso alla magistratura, Alberto Morano della Lega e Stefano Lo Russo del Partito democratico – ma spera nella spallata finale.

La città rimane gelata: Torino si scopre come Roma. Mentre a Torino i cinque stelle di governo locale vestono il lutto, quelli di governo nazionale si lanciano nella dietrologia. Luigi Di Maio, candidato premier, accusa: «Appendino indagata? M5s sotto attacco, ribatteremo colpo su colpo».