Israele ha messo in dubbio l’autenticità del filmato distribuito da Defence for Children International (Dci) – e diffuso dai media internazionali, incluso il New York Times – che mostra l’uccisione, di fatto a sangue freddo, di due ragazzini palestinesi il 15 maggio a Ofer (Ramallah) durante le commemorazioni della Nakba. Autenticità di cui non dubita il resto del mondo visto che persino gli alleati americani, per bocca della portavoce del Dipartimento di Stato, Jen Psaki, hanno fatto sapere che «seguono da vicino» gli sviluppi della vicenda e si aspettano da Israele un’indagine «spedita e trasparente» sulla morte di Nadim Nuwara e Muhammah Abu al Thahir, di 15 e 17 anni, colpiti mentre non rappresentavano alcun pericolo per i soldati. Il secondo, anzi, dava loro le spalle. Una ulteriore ferma risposta alle “perplessità” dei comandi israeliani, secondo i quali i due ragazzi uccisi stavano lanciando pietre (che sempre pietre sono, mica bombe), è giunta anche da Sarit Michaeli, del centro israeliano per i diritti umani nei Territori occupati “B’Tselem, che ha comunicato che esistono filmati di quattro diverse telecamere, per 12 ore complessive. Anche Oscar Fernandez Taranco, un assistente del Segretario generale dell’Onu Ban ki-moon, ha fatto appello ad Israele affinchè compia un’indagine approfondita e verifichi il comportamento delle sue forze armate, dicendosi preoccupato dalle informazioni iniziali «che mostrano come i due palestinesi uccisi fossero entrambi disarmati e non rappresentavano una minaccia diretta».

Tel Aviv invece continua a parlare di immagini manipolate, afferma che i soldati impegnati quel giorno a Ofer non hanno utilizzato munizioni vere, ma solo proiettili rivestiti di gomma e lacrimogeni. Dichiara di non essere nemmeno in grado di stabilire con assoluta certezza che negli scontri siano effettivamente morti due adolescenti palestinesi. Ma B’Tselem avvalora la denuncia del Dci e conferma in pieno, a dispetto delle smentite, l’uso di proiettili veri che oltre a causare la morte dei due giovani, ne avrebbero ferito almeno altri due. Il centro israeliano per i diritti umani parla di spari ad altezza uomo e di omicidi “intenzionali” ed esige accertamenti indipendenti per fare luce fino in fondo.

Qualcosa si muove. Certo non servirà a restituire due ragazzi a madri devastate dal dolore, ma finalmente qualcosa si sta muovendo sul piano internazionale. Non per i media italiani che in questi giorni si occupano di Israele e Territori occupati solo per riferire dei preparativi della visita di papa Francesco in Terra Santa, a conferma della generale indifferenza che regna nei confronti delle uccisioni di palestinesi, in gran parte dei casi civili innocenti. Eppure la tendenza a sparare con troppa facilità dei soldati israeliani è stata ben documentata di recente da Amnesty International. In un rapporto pubblicato a febbraio dal titolo “Trigger Happy”, grilletto facile, l’organizzazione per i diritti umani aveva accusato Israele di aver ucciso decine di civili palestinesi in Cisgiordania negli ultimi tre anni «in disprezzo della vita umana…quando non rappresentavano una minaccia immediata e diretta per i soldati israeliani». Proprio come mostrano le immagini filmate, circolate in rete nelle ultime ore, sull’uccisione a Ofer dei due adolescenti. Il rapporto presentava in particolare le prove del ripetersi di incidenti mortali e di uccisioni ingiustificate di civili e criticava Israele «per non aver condotto indagini indipendenti soddisfacenti per gli standard internazionali» allo scopo di garantire l’impunità alle sue forze armate. Amnesty ha peraltro invitato gli Stati Uniti, l’Unione europea e il resto della comunità internazionale a sospendere tutte le forniture di munizioni, armi e altre attrezzature militari a Israele.

«Condanniamo nei termini più fermi possibili la deliberata esecuzione dei due adolescenti», ha protestato Hanan Ashrawi del Comitato esecutivo dell’Olp. «Il ricorso a proiettili veri contro dimostranti non violenti palestinesi – ha denunciato – costituisce un crimine di guerra ed un crimine contro l’umanità secondo la legge internazionale».