I golpisti brasiliani possono prepararsi a festeggiare. La velocità record con cui è stato fissato – per il 24 gennaio – il processo di appello contro l’ex presidente Lula, già condannato in primo grado a 9 anni e 6 mesi per corruzione, non lascia molti dubbi sul fatto che la sentenza verrà confermata.

E in tal caso l’unica speranza che rimarrebbe al leader del Pt per ricandidarsi alle presidenziali del 2018 sarebbe quella di ricorrere al Supremo Tribunale Federale per ottenere una sospensione della legge Ficha Limpa, che proibisce a chi sia stato condannato in secondo grado di presentarsi alle elezioni.

Di fronte alla fragilità dell’impianto accusatorio, basato essenzialmente sull’uso dell’inaffidabile delação premiada – la collaborazione con i magistrati in cambio di uno sconto di pena – non ci vuole molto a capire come la più che probabile condanna di Lula, indicato come vincitore da tutti i sondaggi, non sia altro che il compimento di una strategia golpista che ha già inferto colpi durissimi ai lavoratori, ai contadini, ai popoli indigeni e agli ecosistemi del Paese.

Dopo la contestata approvazione della «Misura Provvisoria 795», che, a due anni dalla firma dell’Accordo di Parigi sul clima, concede alle imprese petrolifere sussidi di centinaia di miliardi di reais fino al 2040, l’attenzione è puntata sulla Riforma della Previdenza, il cui voto è slittato al 19 febbraio a causa delle resistenze interne alla stessa maggioranza, preoccupate per l’impatto sulle elezioni del 2018 di una proposta che prevede di innalzare l’età pensionabile a 65 anni per gli uomini e a 62 per le donne, senza distinzioni tra lavoratori urbani e rurali malgrado nelle campagne si cominci a lavorare in età giovanissima, e di aumentare gli anni di contribuzione (da 30 a 40) per la pensione completa, in un Paese in cui più della metà della popolazione, lavorando nel settore informale, non potrà mai accumulare i contributi necessari.

Proprio per scongiurarne l’approvazione, diversi militanti del Movimento dei piccoli agricoltori, tra cui frei Sérgio Görgen, figura storica nella lotta per la terra in Brasile, hanno iniziato il 5 dicembre scorso uno sciopero della fame, determinati – hanno spiegato – a sentire la fame per alcuni giorni per evitare che molti la soffrano per tutta la vita.

Alla cruenta offensiva della destra, il Pt non sembra tuttavia in grado di rispondere, incapace di un rilancio dell’azione politica che non passi per la ricandidatura di Lula, l’unico ritenuto in grado di vincere le elezioni e di riportare il Brasile sul cammino abbandonato dopo il golpe.

Ma anche nel caso assai improbabile che l’ex presidente operaio venga risparmiato dai giudici, è alquanto difficile che la svolta a sinistra tanto attesa dai movimenti popolari possa avere luogo.

È suonata come un campanello d’allarme, infatti, la frase pronunciata da Lula in Minas Gerais – «Sto perdonando i golpisti di questo Paese» -, da tutti interpretata come una mano tesa ai vecchi partiti conservatori con cui l’ex presidente era alleato, per salvarsi tutti insieme dall’offensiva della «Repubblica giudiziaria» e rilanciare quel patto di convivenza tra il Pt e le classi dominanti grazie a cui Lula aveva potuto svolgere il suo ruolo di «arbitro al di sopra delle classi», garantendo molte conquiste sociali ma a condizione di preservare i profitti dell’oligarchia.

A riprendere l’iniziativa politica ci pensa però il Frente Brasil Popular, che ha annunciato per il primo semestre del 2017 la realizzazione di un inedito Congresso del Popolo brasiliano, allo scopo di costruire, attraverso il coinvolgimento dei movimenti popolari di tutto il Paese, «un progetto di nazione con il popolo e per il popolo».