Bersaglio abituale di Benyamin Netanyahu durante le campagne elettorali e nei giorni scorsi additata dal premier come una minaccia per l’esistenza stessa degli ebrei israeliani, la minoranza palestinese in Israele (gli arabo israeliani, 21% della popolazione) è chiamata oggi a compiere una scelta delicata. Andare ai seggi elettorali o ignorare il voto confermando la bassa affluenza alle urne registrata alle elezioni del 9 aprile (il 49%, la più bassa dal 1999), complice l’uso intimidatorio di telecamere nei seggi elettorali arabi da parte di attivisti del Likud di Netanyahu (uso vietato in queste elezioni dalla Corte Suprema). Il dibattito è stato serrato tra chi esorta al boicottaggio, anche per ragioni ideologiche, e chi teme che non votando si aggraverà la condizione degli arabi.

Lo scenario generale si è modificato poco rispetto a cinque mesi fa ma i quattro partiti arabi – un insieme di nazionalisti, islamisti, progressisti, comunisti – hanno ridato vita alla Lista araba unita (Lau) che aveva riscosso un buon successo alle elezioni di quattro anni fa (13 seggi). Unità abbandonata alle ultime consultazioni con esiti disastrosi. «Una scelta obbligata» sottolinea il giornalista Nasser Dawani «aver presentato il 9 aprile due liste distinte ha favorito la destra e prodotto un numero più basso di seggi. Perciò i leader politici (arabi) hanno messo da parte le divisioni e si sono impegnati in un’opera di persuasione verso i loro potenziali elettori, per spingerli ad andare alle urne e a votare per la Lau».

Il leader della Lau, Ayman Odeh, si è affannato a denunciare la «politica razzista» della destra e la condizione di serie B della sua gente. «Se votiamo il 65% e oltre e per la Lista araba unita, contribuiremo a battere Netanyahu e la destra», ha esortato Odeh, protagonista di un passo politico, senza precedenti, che ha suscitato aspre critiche ma anche consensi tra i palestinesi in Israele. Ad agosto ha annunciato di essere pronto ad unirsi a una coalizione di centrosinistra in cambio della ripresa dei negoziati con i palestinesi nei Territori occupati e della cancellazione della legge, approvata l’anno scorso, che proclama Israele lo Stato degli ebrei e non di tutti i suoi cittadini. L’offerta è stata respinta da Blu e Bianco, il principale avversario del Likud. In Israele una regola non scritta esclude i partiti non sionisti dal governo. E mentre tanti dubitano che gli sforzi di Odeh saranno ripagati – i sondaggi indicano ancora una ridotta partecipazione nei centri arabi – una novità politica e sociale potrebbe deviare in altre direzioni una parte dei voti che si attende la Lau.

Il 9 aprile più del 28% dei palestinesi andati alle urne, ha votato per i partiti sionisti, rispetto al 17% quattro anni prima secondo i dati dell’Israel Democracy Institute. La maggior parte di quei voti è andata a Blu e Bianco, al Meretz (sinistra sionista) e persino al Likud, agli ultranazionalisti di Nuova Destra Unita e di Yisrael Beitenu e ai religiosi ortodossi ebrei del partito Shas. Per gli analisti quel dato conferma il processo di integrazione graduale nello Stato di una porzione significativa della minoranza araba. E, aggiungono, indica la consapevolezza fra i palestinesi d’Israele che i loro partiti non possono incidere in alcun modo. Non è d’accordo la politologa palestinese Diana Buttu convinta che le ragioni di quel voto il 9 aprile siano altre. «Ha inciso la decisione di non presentare una lista unica alle elezioni. Le divisioni non piacciono agli elettori arabi che hanno punito i loro leader politici» spiega Buttu al manifesto aggiungendo di essere certa «che quella percentuale calerà in queste elezioni».

Fatto sta che i partiti sionisti, attirati dai dati delle ultime elezioni, per la prima volta hanno svolto una intensa campagna nei centri arabi. Il Meretz è stato il più attivo. Benny Gantz di Blue e Bianco è apparso sulle tv in lingua araba promettendo il miglioramento del servizio sanitario, dell’istruzione e dell’assistenza sociale. Parole ascoltate con attenzione dai cittadini palestinesi, il 47% dei quali è povero rispetto a una media nazionale del 18%.