«Sicuramente gli appalti dell’Ama saranno oggetto della nostra attenzione». Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, si riserva di decidere tra qualche giorno, dopo aver studiato le ordinanze della procura di Roma sulla «mafia capitolina», se commissariare gli appalti in affidamento diretto gestiti dalla società in house del comune di Roma. Di una cosa però è certo: «Il problema vero è l’utilizzo dell’emergenza per superare il codice degli appalti».

Presidente, ha incontrato il sindaco Ignazio Marino. Cosa avete deciso?
Il sindaco mi ha chiesto l’incontro per parlare delle vicende degli appalti sui quali indaga la procura di Roma e per chiedermi un ruolo di controllo su una serie di opere e appalti sui quali nutre elementi di sospetto.

Ha intenzione di creare un pool apposito?

Io non ho parlato di nessun pool, perché non è prevista la possibilità di creare pool. Ho risposto al sindaco Marino che noi verificheremo quali sono le possibilità di intervenire attraverso i nostri poteri di vigilanza, di controllo o eventualmente di commissariamento su appalti specifici, ma dobbiamo prima studiare gli atti. Come abbiamo fatto per gli appalti Maltauro dell’Expo 2015, per il Mose… Questo tipo di commissariamento è previsto nel decreto legge Madia del giugno 2014 e riguarda gli appalti pilotati, oggetto di attività corruttive.

A Roma, quali saranno gli appalti oggetto delle vostre attenzioni?

Con Marino c’è stata solo una chiacchierata, non abbiamo ancora studiato le ordinanze della procura in riferimento alle ultime indagini su Roma. Sicuramente saranno da approfondire gli appalti dell’Ama. Ma dobbiamo avere un po’ di tempo per capire se ci sono appalti espressamente oggetto di attività corruttiva, poi – ragionevolmente nei prossimi giorni – faremo le valutazioni sul commissariamento.

Secondo lei reggerà davanti ai giudici l’impostazione del procuratore Pignatone che contesta l’associazione mafiosa ai componenti di questo sodalizio politico-criminale del «Mondo di mezzo»? Peraltro la contestazione a Roma del reato di mafia, sostiene Libera, è una novità portata proprio da Pignatone…

Non è così: l’ex 416 bis non era mai stato contestato per mafie autoctone, ma per altre mafie sì. Però la grande novità che ha portato questa indagine, ed è anche un grande merito, è l’aver configurato un’associazione mafiosa anche con riferimento ad attività che mettono in primo piano non l’intimidazione ma la corruzione. Sotto questo profilo c’è un salto di qualità elevato e direi decisamente condivisibile, perché si fotografa una nuova mafia che spara molto meno, solo quando è necessario, ma fa grandi affari. Credo che il lavoro della procura sia particolarmente approfondito, ma non posso e non voglio dare valutazioni giuridiche.

Una mafia nera ma non solo. Solo qualche giorno fa lo stesso Pignatone, intervenendo alla conferenza programmatica del Pd di Roma, aveva detto: «Non si può scaricare tutto sulla giurisdizione o sulla giustizia per perseguire e modificare atti magari non criminali ma comunque non morali». E ha avvertito: «Nessuna categoria è immune dal rischio corruzione, a cominciare dai magistrati».

Sono assolutamente d’accordo. Sulla corruzione l’intervento giudiziario è sempre ex post, e per sua natura anche un po’ casuale. Il tema vero è quello di una battaglia duratura che passi attraverso le scelte della politica, dei cittadini e soprattutto una battaglia culturale. C’è una sottovalutazione della corruzione che è sotto gli occhi di tutti, e che credo sia stata anche una delle cause del riemergere di questo fenomeno. Occorre invece un’azione di sensibilizzazione non discontinua. Io credo che uno dei passaggi che ha consentito di fare grandi salti di qualità nella lotta alla mafia è quando è intervenuto l’impegno della classe dirigente, quando anche la Confindustria è scesa in campo nel contrasto alle mafie, quando i sindacati hanno messo al primo posto la lotta per la legalità, e le associazioni come Libera hanno fatto la loro parte. Penso che ora ci sia bisogno di fare la stessa operazione culturale, mettendo in evidenza che la corruzione è un disastro perché mette in discussione il sistema economico.

Ma a proposito di scelte politiche e di crimini legali, questa «mafia capitolina» si è ingrassata grazie alle decretazioni d’emergenza. Negli atti della procura si ritrovano tutte le «emergenze» romane, spesso reiterate tra il 2008 e il 2013: casa, rifiuti, neve, maltempo, minori del Nord Africa, rom, rifugiati…

Le legislazioni di emergenza abbassano i controlli e naturalmente, se si possono attribuire appalti senza rispettare le regole dei contratti, si facilitano i meccanismi della corruzione. Ma questa indagine svela soprattutto la presenza di funzionari disponibili, di gare senza alcun rispetto, senza alcuna forma. Si vede che c’è un sistema di corruzione in senso stretto, che poi utilizza l’emergenza per direzionarla sui suoi interessi.

Non c’è stato un ricorso sistematico ed improprio alla decretazione d’urgenza?

Sì, credo che una delle sfide che abbiamo davanti sia quella di prevedere direttamente nel codice degli appalti i meccanismi che regolamentano l’urgenza. Però le situazioni d’emergenza vera che richiedono procedure veloci – una frana, un’alluvione – possono sempre verificarsi. E allora è necessario limitare il ricorso alla decretazione d’urgenza, perché è una di quelle azioni che da sempre vengono individuate a rischio corruzione, soprattutto quando viene strumentalizzata.

Tutte le «emergenze» sfruttate dai sodali rosso-bruni erano commissariate dal prefetto di Roma.

Ma non necessariamente i commissari devono utilizzare le norme in deroga. Il commissariamento è un istituto neutro, riguarda un meccanismo di accelerazione che può consentire anche di svolgere le gare. Il commissariamento può anche sostituire un’amministrazione che non funziona. Il punto vero è l’utilizzo dell’emergenza per superare il codice degli appalti.

Nella classifica di Trasparency International sull’indice di corruzione, l’Italia è 69esima su 174 Paesi, insieme a Romania, Bulgaria e Grecia. È una fotografia realistica del Paese, secondo lei?

Credo che sia una fotografia un po’ esagerata. Non per sminuire un lavoro che è comunque importante: il livello della corruzione è molto elevato, ma questi indici hanno una scientificità molto relativa, perché sono indici della corruzione percepita. Per esempio, una delle domande poste è se si ritiene che in Italia il livello di corruzione sia alto. Ma le stesse persone che rispondono sì, poi dicono di non essere testimoni diretti di atti di corruzione. Sicuramente è sintomatico di uno scarso livello di credibilità di cui godono le istituzioni, ma credo che ci sia un salto logico quando poi, su queste basi, si afferma che il Paese è tra i più corrotti. I fatti che stanno emergendo in queste ore sono invece molto più importanti degli indici di qualsiasi organismo.