Quanto sono verdi gli acquisti della pubblica amministrazione? E quanto le gare d’appalto sono costruite in modo da privilegiare l’acquisto di forniture più rispettose dell’ambiente? A queste domande dà una risposta il primo rapporto «I numeri del Green Public Procurement» (appalti pubblici verdi, GPP), stilato dall’Osservatorio Appalti Verdi di Legambiente e Fondazione Ecosistemi, che hanno valutato il rispetto dei cosiddetti Criteri Ambientali Minimi (CAM), i criteri che consentono di classificare come «verde» l’acquisto di un bene o di un servizio. I CAM sono obbligatori per legge dal 2016 in Italia – unico paese in Europa – grazie all’articolo 34 del codice degli Appalti e riguardano 15 tipologie di forniture, in sintesi: carta, prodotti elettronici, arredi, servizi di pulizia, cibo delle mense, gestione dei rifiuti urbani, edilizia, verde pubblico, energia e illuminazione, veicoli, divise e calzature. Siccome la pubblica amministrazione è il maggior acquirente di beni e servizi, più gli acquisti sono «verdi» più le imprese vengono orientate verso produzioni durevoli e sostenibili. Il mercato potenziale è sostanzioso: 170 miliardi di euro.

Il rapporto rimanda un «verde» piuttosto scialbo: soltanto una città capoluogo di provincia tra tutte le 106 oggetto dello studio dichiara di applicare al 100% i CAM, ed è Bergamo. Sei le città che dichiarano una percentuale tra l’80 e il 99% (Ancona, Ferrara, Modena, Treviso, Udine e Vicenza), due i fanalini di coda, Crotone ed Enna, che ammettono di non averli mai applicati. Nulla però sappiamo dei 18 capoluoghi che non hanno risposto al questionario: Avellino, Benevento, Brindisi, Como, Frosinone, Isernia, Lecce, Matera, Novara, Nuoro, Pescara, Potenza, Rieti, Salerno, Siracusa, Trieste, Vibo Valentia e Viterbo, mentre altri sei hanno dato risposte parziali: Cosenza, Foggia, Genova, Oristano, Siena e Teramo. La stessa indagine è stata fatta anche tra i comuni ricicloni, con risultati analoghi, e tra gli enti parco.

Le principali difficoltà riscontrate nell’applicazione dei criteri ambientali minimi sono la carenza di formazione (indicata dal 28% dei capoluoghi) e di conseguenza la difficoltà a redigere i bandi (26%): a mancare è dunque la competenza dei funzionari, più che l’offerta di prodotti verdi come succedeva fino a pochi anni fa, lamentata solo dall’11%. Tra gli addetti ai lavori è forte la richiesta di formazione specifica (il ministero dell’Ambiente offre corsi gratuiti) e di condivisione di delibere che possano fare da faro per altri. Date le premesse, le città capoluogo che hanno un sistema di monitoraggio degli acquisti verdi per rilevare il numero di bandi realizzati con i CAM e l’ammontare della spesa sostenuta sono l’11,4%.

Enrico Fontana, della Segreteria nazionale di Legambiente e Coordinatore dell’osservatorio Appalti Verdi, che da anni monitora la situazione, vede il bicchiere mezzo pieno: «I dati ci consegnano un quadro sempre in miglioramento, soprattutto nei comuni capoluogo, ma è chiaro che c’è ancora molto da fare, soprattutto sulla formazione. Siamo nella fase di avvio di un processo virtuoso, osservato con attenzione anche dall’Europa, che da una parte può promuovere investimenti nell’economia circolare e dall’altra punta a razionalizzare la spesa pubblica perché fa sì che si acquistino beni di qualità che durano più a lungo e che vengano messi progressivamente fuori mercato i prodotti più scadenti. Quindi non è vero che gli acquisti verdi costano di più».

Il prodotto «verde» più acquistato è la carta: il 72,7% dei comuni dichiara di aver applicato i CAM, ovvero di aver acquistato carta che contenga almeno il 70% di fibre di cellulosa riciclata, mentre la restante quota di cellulosa vergine deve provenire da foreste gestite in maniera responsabile. Buone le percentuali di acquisti verdi per quanto riguarda stampanti, fotocopiatrici, toner e servizi di pulizia (più del 50% dei comuni). Anche sull’illuminazione pubblica i comuni si dimostrano piuttosto attenti, ne è la dimostrazione la diffusione dell’illuminazione a LED che consente sostanziosi risparmi sulla bolletta energetica: qui le percentuali di rispetto dei CAM supera il 70% tra chi li applica sempre o non sempre. Negli acquisti per le mense, i criteri prevedono l’acquisto di quote di prodotti biologici, locali e tradizionali (deve essere bio almeno il 40% di frutta, verdura, cereali, olio, uova e formaggio; il 15% carne, il 20% pesce, oltre a un 20% di prodotti DOP/IGP): vi si attiene il 37,5% dei comuni capoluogo, mentre il 18,2% li ignora.

Due i settore dove si riscontrano le maggiori difficoltà: quello dei trasporti, dovuti allo scarso ammodernamento dei parco automezzi e quello dell’edilizia, ovvero gli appalti che riguardano i servizi di progettazione e lavori per la nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici pubblici: qui i criteri ambientali vengono adottati solo dal 19,3% dei comuni capoluogo. «Il ministero dell’Ambiente è consapevole delle difficoltà e infatti i CAM sull’edilizia sono in corso di revisione perché richiedono competenze anche in fase progettuale che i comuni spesso non hanno, così come alle imprese che partecipano alle gare vengono richiesti requisiti che poche possiedono, soprattutto le piccole e medie imprese edili», spiega Fontana.

Cosa succede a chi non applica i CAM obbligatori per legge? In questa prima fase di avvio non sono previste sanzioni, però i comuni non adempienti sanno che si espongono al rischio che le loro gare d’appalto vengano impugnate davanti al Tar dalle aziende escluse o penalizzate. Inoltre, a monitorare e vigilare sull’applicazione dei CAM è l’Anac, l’autorità nazionale anti-corruzione, che in questa fase svolge anche una funzione di indirizzo, oltre a segnalare eventuali casi limite di palese violazione. «Il legislatore ha scelto la via morbida, per promuovere e accompagnare la pubblica amministrazione, ma è chiaro che prima o poi bisognerà considerare un cambio di passo – puntualizza Fontana – Noi come Legambiente abbiamo proposto al ministro dell’ambiente Costa di prevedere tra le priorità di accesso alle risorse che saranno stanziate nel Green New Deal anche l’applicazione corretta dei criteri ambientali minimi, affinché si inneschi una competizione virtuosa tra i comuni per l’accesso a questi fondi».