Draghi vuole stringere, rispettare gli impegni assunti con Bruxelles, varare oggi un decreto che tenga insieme la governance, le semplificazioni e le assunzioni del personale per il Pnrr. La vigilia è dunque frenetica, perché a 24 ore dal consiglio dei ministri i nodi non sono affatto sciolti, i toni del leader della Cgil Maurizio Landini sono anzi esasperati e il Pd non reggerebbe uno sciopero generale contro il governo, per non parlare di LeU.

A PALAZZO CHIGI il premier riceve Enrico Letta. È il primo incontro con il segretario del Pd dopo l’incidente del week-end scorso, con quella proposta di tassa sulla successione che Draghi ha cestinato. La telefonata di lunedì scorso tra i due non è bastata ad appianare le cose. Ma l’incontro di ieri non serviva solo a mostrare la rappacificazione, con il leader dem che alla fine esalta l’«incontro lungo e proficuo» e si felicita per la «piena sintonia e determinazione ad accelerare le riforme, sulle quali troveremo le migliori sintesi». Sul tavolo c’è anche la necessità di evitare a ogni costo la rottura con i sindacati, perché il Pd di Letta non è quello di Renzi e uno scontro frontale con la Cgil non è neppure immaginabile.

La stessa musica suona nella riunione decisiva della cabina di regia, dove il premier ribadisce l’intenzione di non spezzettare i tre tronconi del decreto. La intonano i ministri Andrea Orlando e Roberto Speranza. Chiedono che non si proceda al varo del decreto senza essersi prima seduti intorno al tavolo con le parti sociali. Landini si è sentito tagliato fuori e alza i toni: «Mi sono stancato di discutere al telefono o sulle tv: questo metodo non funziona». I ministri della sinistra di maggioranza e prima di loro lo stesso Enrico Letta fanno capire che su quella strada il premier non va lontano.

DRAGHI CAPISCE l’antifona. Convoca per il pomeriggio stesso i sindacati ma fa subito la prima mossa di pace: il passaggio del dl sul criterio del massimo ribasso nelle gare d’appalto viene stralciato e accantonato. Era una retromarcia inevitabile, dal momento che su quel fronte a premere non era solo la ex maggioranza di Conte ma anche la Lega. Alla fine infatti sia Letta che Salvini tripudiano. «Ottimo segnale» per il primo. «Molto soddisfatti», duetta l’altro. Non che i problemi siano tutti risolti. Quando la faccenda uscirà dal cantone per tornare sul tavolo dei ministri palazzo Chigi punta sull’«offerta più conveniente», formula che a differenza della precedente includerebbe anche la qualità. Ma il confine è labile e dunque anche questa versione piace poco sia ai sindacati che al Pd. Ma è storia di domani.

Draghi invece non scioglie il nodo dei subappalti. Si tiene la carta della modifica in tasca per l’incontro con i sindacati. La strada del pieno ritorno indietro, con la semplice conferma del tetto attuale per i subappalti al 40%, non è affatto esclusa, anzi è la più gettonata, ma palazzo Chigi non ha abbandonato del tutto la speranza di raggiungere un’intesa che agevoli l’accelerazione, superando un po’ quella soglia, come chiede anche l’Europa, ma con contratti parificati a quelli della ditta appaltatrice sulla base del contratto nazionale.

NELLA GIORNATA PIÙ frenetica da quando si trova a palazzo Chigi Mario Draghi, ancor prima di incontrare i sindacati, convoca il preconsiglio per le 18.30. Il decretone è pronto, con le semplificazioni, 350 assunzioni e la definizione della governance del Piano di rilancio. È quella già anticipata nei giorni scorsi ma messa nero su bianco nei particolari delinea più nitidamente un quadro nel quale il pieno e totale controllo è tutto in mano al presidente del consiglio.

La cabina di regia «a geometria variabile», con i ministri di volta in volta interessati, indirizza, imprime impulso, coordina, elabora le linee guida per ogni intervento, opera le ricognizioni periodiche, esamina gli interventi normativi necessari per rimuovere eventuali ostacolo o elementi che rallentino. Si avvale di una segreteria tecnica, il cui compito è coadiuvare la cabina, e di una unità per la razionalizzazione che, sulla base delle segnalazioni della stessa cabina, deve elaborare gli interventi legislativi atti a superare gli eventuali ostacoli legislativi. Le Camere saranno informare ogni sei mesi, il governo «periodicamente», per le parti sociali c’è l’apposito tavolo permanente. Ma su chi abbia in mano tutte le redini del Piano non ci sono dubbi.