Mario Draghi in persona, da Bruxelles, seppellisce la bozza della discordia, quella prima versione del decreto Semplificazioni che da qualche giorno manda in fibrillazione la maggioranza. Ma era solo «una bozza molto preliminare». Quella vera arriverà «nei prossimi giorni, direi immediatamente, e verrà condivisa in tutte le sedi politiche necessarie». Potrebbe significare che il premier spera di accelerare i tempi. Ieri il decreto sembrava dover slittare senza possibilità di recupero, invece di essere varato alla fine di questa settimana insieme a quello che istituirà la governance del Recovery plan. Non è escluso che Draghi miri invece ad anticipare, in modo da mantenere l’impegno assunto nella sua ultima conferenza stampa. Dipenderà naturalmente dalla possibilità di trovare un accordo in tempi celeri sulla nuova versione.

IL PRESIDENTE del consiglio sa che la quadra ancora non c’è: «Mi aspetto che ci sia una diversità di vedute. Si tratterà di trovare un punto d’incontro senza che venga snaturato l’obiettivo principale dello sforzo». Alcune ipotesi di modifica sono già note. La liberalizzazione dei subappalti dovrebbe essere sostituita da una proroga del tetto al 40%. È un capitolo fondamentale per quanto riguarda le critiche ispirate dal timore di infiltrazioni mafiose, essenziali per i 5 Stelle ma anche per quella parte del Pd che rifiuta la deregulation. La gare per gli appalti non dovrebbero più essere «al massimo ribasso» ma basate sull’«offerta economicamente più vantaggiosa». La differenza è sottile, tanto da rischiare l’evanescenza. Dovrebbe significare che nel valutare i progetti si terrà conto anche della qualità oltre che del basso prezzo. Ma proprio perché la formula resta vaga non è detto che basti a tranquillizzare i sindacati e i parlamentari pentastellati che, nonostante la disponibilità proclamata da Luigi Di Maio, promettono le barricate in commissione proprio contro il massimo ribasso. Infine dovrebbe essere modificato l’articolo 18 della bozza, quello che vanifica completante la norma sui centri storici prevista dal precedente decreto varato dal Conte 2 sulla rigenerazione urbana.

QUELLI SUI QUALI il governo sta lavorando non sono gli unici elementi critici del progetto iniziale e le modifiche potrebbero non bastare. La possibilità di trovare un’intesa nei prossimi due o tre giorni è dunque limitata. In ogni caso si tratterebbe di una tregua, perché la revisione del Codice degli appalti sarà inserita nel decreto Delega, una delle 53 misure che compongono il Pnrr. Alla fine una mediazione si troverà ma la vicenda è comunque destinata a incidere a fondo sul rapporto tra Draghi e i partiti che lo sostengono: in particolare proprio quelli con il Pd.

LA BOCCIATURA SECCA e quasi sprezzante della proposta del segretario Enrico Letta sulla tassa di successione e poi il braccio di ferro di questi giorni sulle semplificazioni hanno sancito il fallimento della strategia che il leader dem intendeva impostare sin dal momento che ha assunto la guida del Pd: dimostrare che il suo partito è la vera colonna del governo Draghi e che la Lega è invece una sorta di intruso, da spingere verso i margini con l’obiettivo, se possibile, di forzarla a uscire dalla maggioranza in modo da spaccare il centrodestra e prefigurare una maggioranza Ursula anche per la prossima legislatura. Questa è stata la bussola di Enrico Letta sin dal primo momento e ha ispirato tutte le sue mosse politico propagandistiche.

IL DOPPIO SCONTRO con Draghi (triplo tenendo conto della norma Orlando sul blocco dei licenziamenti) ha convinto il vertice del Pd che quell’operazione è nella migliore delle ipotesi molto meno facile del previsto e ha materializzato uno spettro tanto evocato quanto temuto al Nazareno in questi giorni: quello del governo Monti. Così l’orientamento, opposto a quello auspicato da Draghi nel colloquio con lo stesso Letta, è ora quello di tenere la tensione alta. Se del caso andare allo scontro prima di ritrovarsi nella situazione in cui l’esperienza Monte precipitò il partito di Pierluigi Bersani.