Diceva il filosofo positivista Auguste Comte che la demografia è il destino. E certo la demografia ha pesato nel voto americano. In almeno due modi. Il primo disegnando un paese profondamente diviso. Secondo il Pew Research Center esiste un ampio divario nella percezione dei problemi degli Stati Uniti tra i votanti democratici e quelli repubblicani. Ad esempio l’immigrazione illegale è un very big problem per il 20% dei supporter della Clinton ma per il 79% di quelli di Trump. Ancora: il mutamento climatico è fondamentale per l’agenda politica per il 66% dei democratici ma solo per il 14% dei repubblicani. La violenza legata alle armi domestiche (la National Rifle Association raccoglie ovviamente le simpatie dei trumpiani) è infatti un problema solo per il 31% dei tifosi di Trump contro il 73% dei clintoniani. Sul razzismo solo il 21% dei votanti repubblicani ne sottolinea il rischio o la presenza, contro il 53% dei votanti democratici; il sessismo è pressoché inesistente come problema per i trumpiani (solo il 7% lo sottolinea), coerentemente con lo stile del candidato vincitore.

Infine la forbice socioeconomica tra ricchi e poveri negli Stati Uniti è centrale per il 72% dei democratici contro il 33% dei repubblicani. Come si vede, si tratta di temi fondamentali segnati da fratture rilevanti. Per non parlare del differente approccio psicologico ai problemi. Mentre i democratici preferiscono un approccio graduale alla soluzione dei problemi, quelli repubblicani credono ad un approccio di problem solving assai più rapido e sbrigativo, spinti da una visione radicalmente pessimistica o negativa dell’andamento della società e dell’economia americane di questi ultimi anni (soprattutto dal 2008), specie nelle relazioni interrazziali, nella situazione migratoria, nel ruolo del paese nel mondo e nella criminalità. Sociologicamente l’elettore di Trump è poco open minded: si definisce piuttosto in termini di tradizione, di typical American, di onore e dovere come valori chiave, mentre è scarso l’interesse a visitare paesi stranieri e ridotti i sentimenti di compassione e solidarietà sociale. Inutile aggiungere che sul femminismo, sui diritti del popolo Lgbt (che solo per il 14% ha votato Trump) e su quello del movimento black (soprattutto) vi è un baratro di sentimenti divergenti che fa pensare ad una vera e propria frattura antropologica tra due Americhe impossibile da colmare.

In secondo luogo dietro i sentimenti divergenti stanno naturalmente divisioni nette in termini di genere, di appartenenze etniche, di istruzione e di età. Circa il primo punto le donne hanno votato con una differenza di preferenza tra Trump e  Clinton di 42% a 54% (percentuali simili, ma rovesciate, vi furono nel 2012 tra Obama e Romney). Sulla variabile etnica (race) netta è l’ampiezza del voto bianco non ispanico a favore di Trump – 58% contro il 37% per Clinton – pari ad una differenza di 21 punti. E se è vero che la candidata democratica ha stravinto tra gli ispanici, gli asiatici e soprattutto tra i black, è anche vero che tra questi ultimi il suo vantaggio si è comunque ridotto rispetto a quello raccolto da Obama a suo tempo. Anche l’istruzione marca profonde differenze politiche, con una preferenza ampia e netta di quelli senza college degree a favore di Trump (con un rapporto 52% contro 44); e ciò anche, e più ampiamente, all’interno dei soli bianchi non ispanici. Quello basato sull’istruzione è il divario di voto più ampio dal 1980. Infine la variabile età, fondamentale in un paese contrassegnato da calo delle nascite e forte presenza dei baby boomer ora in transizione verso la terza età (in cui la piramide demografica diventa un rettangolo, secondo le previsioni di The Next America). Ebbene, i più giovani (i cosiddetti Millennial) hanno certamente premiato la Clinton (55% contro il 37% a Trump), ma in misura assai minore di quanto avvenne con Obama. Viceversa tra gli older voter (sopra i 65 anni) le preferenze hanno senz’altro scelto Trump (53% dei voti contro il 45% della Clinton), anche se però non vi è stata nessuna conquista conservatrice eclatante delle terze e quarte età, dato che le percentuali del voto «anziano» non si sono allontanate granché da quelle del 2012 a favore di Romney.

Se allora la demografia è il destino, questo è già cominciato all’insegna del Left-behind, come è stato amaramente detto. D’altronde, come si sa, demografia e democrazia rimandano alla stessa parola chiave. Da capire innanzitutto, perché – come disse un grande giurista americano, Hand – lo spirito della libertà parte sempre dal «comprendere gli altri uomini e le altre donne».