La Pasqua, sia che ricordi la resurrezione di Gesù, la liberazione degli ebrei dall’Egitto, il mancato sacrificio di Isacco (per i musulmani), i poteri dell’antica dea babilonese Ishtar (da cui probabilmente Easter…) o le celebrazioni pagane della stagione in cui tutto nasce e rinasce, così icasticamente musicate da Stravinskij, dovrebbe indurci a fare i conti con i complessi rapporti tra il mutamento e il tempo.

Io l’ho festeggiata – oltre che assaporando alcuni ottimi cibi – leggendo tre lezioni «giapponesi» di Claude Lévi-Strauss, appena pubblicate in un libretto Bompiani. Il titolo – L’antropologia di fronte ai problemi del mondo moderno – è quello dell’autore, così come i titoli delle tre conferenze. Un programma attualissimo: dalla «fine della supremazia culturale dell’Occidente» ai «grandi problemi contemporanei: la sessualità, lo sviluppo economico e il pensiero mitico», al «riconoscimento della diversità culturale». E la prima cosa che mi ha colpito è che questi testi scritti e letti in Giappone nel 1986 – data che ci sembra appartenere a un’altra era geologica – ci parlano di questioni del tutto aperte e «urgenti».

Ecco dunque la fallacia del «presentismo» da cui siamo afflitti: quasi tutto ciò che accade e che ci turba ci sembra – e viene raccontato – come una novità che si manifesta per la prima volta. Le risposte tutte da inventare. Il «nuovo» – termine paradossalmente sempre più invecchiato – ci assilla da ogni lato. Invece se appena ci volgessimo un po’ indietro scopriremmo che spesso sono le stesse cose a tornare. E che riconoscere e elaborare il mutamento richiede non solo particolari attenzioni, sentimenti e competenze, ma anche il tempo necessario.

Un esempio: Lévi-Strauss dedica alcune pagine alle tecniche di procreazione assistita: inseminazione artificiale, donazione di ovuli, utero in affitto, congelamento di embrioni, fecondazione con spermatozoi del marito o di un altro uomo, oppure con ovuli della moglie o di un’altra donna. Con questi metodi possono nascere figli con due padri o due madri, e fino a due padri e tre madri, quando il genitore maschio non è padre biologico e quando tre donne diverse assicurano un ovulo, il ventre in cui il bambino si forma e l’allevamento successivo.

Situazioni che sollevano una selva di interrogativi etici e giuridici su cui tuttora si confligge drasticamente.

Ma il grande antropologo francese ci informa che praticamente tutte queste situazioni sono già state vissute e diversamente simbolizzate e normate da culture molto più antiche della nostra. E soprattutto – in un momento in cui erano al lavoro varie <«commissioni» per elaborare nuove leggi – oltre a indicare la desiderabilità della «trasparenza» delle diverse relazioni che si intrecciano, afferma che «ai giuristi e ai moralisti troppo impazienti, gli antropologi offrono consigli di liberalismo e di prudenza», e si augurano che «si lasci fare, e che ci si rimetta alla logica interna di ogni società per creare nel suo seno le strutture famigliari e sociali che si riveleranno vitali, o per eliminare quelle che faranno sorgere contraddizioni che solo l’uso potrà dichiarare insormontabili».

Altro affascinante capitolo quello sulla relatività – non infondatezza – della nozione tipicamente occidentale di «progresso» e sulle differenze culturali: tutto mostra che l’umanità «stia tendendo verso una civiltà mondiale». Ma l’idea stessa di civiltà non «implica e richiede la coesistenza di culture che rivelano nella loro essenza la più grande diversità?».