«Coloro che non hanno radici, e sono cosmopoliti, si avviano alla morte della passione e dell’umano: per non essere provinciali occorre possedere un villaggio vivente nella memoria». Le parole di Ernesto De Martino, insieme a quelle di molti autori (tra cui l’amato Corrado Alvaro), risuonano in questo volume di Vito Teti , ultima fatica di un autore che ai paesi, e a quelli più difficili del nostro Sud, ha dedicato tanti volumi.
«Mentre scrivo queste righe – ci avvisa Teti prima di accompagnarci nel suo viaggio antropologico – il campanile di Amatrice cade sotto la forza del terzo terremoto che ha colpito, in meno di sei mesi, i paesi dell’Italia centrale. L’immagine del campanile viene riproposta ossessivamente. È una sequenza che angoscia e che però chiede di essere guardata e riguardata. Le immagini delle rovine, le visioni dei vuoti, delle assenze, dei luoghi a cui è stata sottratta la vita sono immagini perturbanti di cui abbiamo bisogno». Eh, sì. Ne abbiamo bisogno per ritornare ad analisi corrette, al di fuori degli inganni delle ideologie liberiste ma anche di un giornalismo e di una letteratura che ha fatto della bellezza del piccolo borgo la sua cifra retorica e fuorviante. La realtà è quella di un’Italia smarrita tra crisi metropolitane a cui non si riesce a dare risposte e abbandoni dei paesi. Ma, avvisa l’autore, «non si torna più indietro una volta che ci si è messi in viaggio. Non si può tornare più alla casa lasciata, né al tempo perduto». Vero, ma la bellezza di questo libro è quella di trasportarci nel mondo dei paesi «dopo la catastrofe», per riprendere un cammino che non è affatto finito. Anzi, può iniziare su strade nuove se si è capaci di riappropriarsi della realtà, di reinventarla, di capire che il mondo vive sulla sapiente gestione della contraddizione degli opposti.