Esiste una storia segreta del cinema italiano che racconta di progetti non realizzati e film mancati, di cui resta traccia nella memoria sempre più di pochi sopravvissuti o nella sopravvivenza fortuita della “carta”. In realtà questa “carta” è affidata a sceneggiature, trattamenti, soggetti o soltanto abbozzi di scalette, perlopiù dimenticati in cassetti o se si è più fortunati in archivi, e vivono solo nella speranza che prima o poi vengano tirati fuori dall’oblio in cui sono stati relegati. Per una di queste circostanze è interessante il girovagare di circa tre decenni compiuto da “Il frate”, testo del poeta bolognese, Roberto Roversi. Nato per il teatro, dopo un peregrinare tra passaggi in sceneggiatura, impunture di registi e produzioni cinematografiche saltate, questo testo, dedicato a San Francesco, torna di nuovo e dopo essere spolverato dalle incrostazioni del tempo al suo stato originario. Infatti, la Pendragon di Bologna curerà a breve la sua pubblicazione, mentre Oscar De Summa ha già provveduto ad una riduzione per la scena che presenterà “in lettura” questa sera – ore 21 – al Teatro Zappilli di Pieve di Cento per il progetto “Officina Roversi”, ideato e realizzato da Agorà per i cinque anni della scomparsa del poeta. Vale, dunque, ripercorrere le tappe di lungo itinerario progettuale, drammaturgico e artistico di questo ulteriore testo francescano, ben sapendo l’interesse che il poverello d’Assisi ha suscitato negli uomini di spettacolo ed in particolare per il cinema, sin dalla sceneggiatura, oggi centenaria e purtroppo non realizzata, di Guido Gozzano e attraversando più stagioni da: quella tardoneorealistica di “Francesco, giullare di Dio” di Rossellini a quelle avanzatissime degli anni sessanta, divise tra autorialità e tv, il primo dei tre “Francesco” di Liliana Cavani e “Uccellacci e uccellini”, punto più alto del cinema di poesia di Pasolini, ed infine il Francesco “pop” di “Fratello Sole, Sorella Luna” di Franco Zeffirelli. L’ultimo lascia traccia di sé nel 1972. Circa dieci dopo è Michelangelo Antonioni a raccogliere l’invito. Carlo Di Carlo, con Lorenzo Cuccu, racconta la vicenda di uno dei tasselli del “percorso parallelo” dei cosiddetti film “impossibili a quello ufficiale:”Nel 1982 i frati francescani, ai quali Antonioni obietta di non essere credente, gli propongono un film su San Francesco. I frati insistono, sostenendo che a loro interessa un film sull’uomo e non sul santo. Antonioni accetta perché, contrariamente all’immagine tradizionale che si ha sul santo, scopre in Francesco un uomo dal temperamento molto forte e anche violento”. A questo punto entra in gioco Roversi, chiamato da Tonino Guerra, uno dei suoi amici più cari, per il quale aveva prefato numerosi libri e soprattutto tradotto in italiano il capolavoro “I Bu” per Rizzoli all’inizio degli anni ’70, e soprattutto in quel periodo il poeta romagnolo era sodale insostituibile del regista ferrarese. I tre scrivono la sceneggiatura di quello che dovrebbe essere “Frate Francesco”, la matrice originaria è per l’appunto “Il frate” di Roversi. Antonioni “confida che il «film – se riuscirà a farlo – sarà crudo e duro perché in un’epoca terribile come quella tra il XII e XIII secolo, fatto di guerre e di miseria, predicare la povertà come faceva Francesco, mentre i cavalieri portavano in battaglia le corazze d’oro, è un segno di grande coraggio». I dubbi di Antonioni diventano in breve certezze e come riferisce Antonio Bagnoli, editore della Pendragon e nipote di Roversi, “Antonioni tentenna e si tira indietro. La produzione americana vuol far recitare in inglese i personaggi e lui non se la sente”. Si fanno i nomi di Liz Taylor, l’unica che potrebbe recitare in inglese e addirittura di Roberto Benigni nei panni del santo. Di Carlo aggiunge pepe alla vicenda:”Ma anche questo progetto incontra continui rimandi ed indecisioni produttive soprattutto da parte della Rai che poco dopo farà realizzare a Liliana Cavani un secondo San Francesco con Mickey Rourke”. Dunque, il film non si farà, ma Antonioni prima di intraprendere quello che sarà l’ultimo tratto della sua filmografia prima della malattia che lo colpirà di lì a poco, chiede a Roversi di introdurre i racconti di “Quel bowling sul Tevere”. Roversi lascerà la sceneggiatura ed anche “Il frate nel cassetto”. Fino a quando Antonio Bagnoli decide di stampare, nel novero delle pubblicazioni di Roversi che sta facendo uscire per la sua casa editrice, proprio “Il frate”. E lo fa ripristinando – secondo le indicazioni dello zio la dicitura “testo per il teatro”:”E’ un ritorno quello de “Il frate” alla sua dimensione originale” – afferma l’editore ascoltato telefonicamente sulla storia e le peripezie dell’opera e continua – “Roversi ha scritto molto di teatro tra gli anni settanta e gli anni ottanta e amava mettere l’indicazione che erano testi per il teatro”. Di grande rilevanza sono le fonti francescane alle quali ha attinto, “c’è un’intera cartella che riporta in fogli e fogliettini i passaggi cruciali utilizzati per la costruzione e la scrittura del testo. Le fonti sono I fioretti, le vite di Tomaso da celano e di Bonaventura. In alcuni punti ci sono citazioni dall’Ecclesiaste e dalla lettera di Santa Chiara”. Un’indicazione di lavoro è data dall’assenza delle fonti iconografiche del Santo: né Giotto né Cimabue appaiono negli appunti:”Non vi sono riferimenti pittorici negli appunti, Roversi era tutto testo e scrittura. Di sicuro aveva visto tutti i film riguardanti San Francesco e li apprezzava. Saranno stati fonte di ispirazione, ne avrà discusso con Tonino Guerra. Erano molto amici, si telefonavano anche due volte al giorno. C’era consuetudine tra di loro, fatta anche di suggerimenti nel lavoro di ognuno e studiando a fondo le carte di Roversi e il suo stile alcune volte mi pare d’intravvedere nei film di Tarkovskij una sua presenza, la sua ombra”.

 

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