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Raccontare il moderno attraverso le forme simboliche, insistendo sui suoi fallimenti, sulle contraddizioni, gli insuccessi, le aporie che ne hanno descritto la complessità, con un occhio però sempre proiettato alla condizione presente e al ripresentarsi di questioni e problemi ancora oggi cruciali: pare questa l’ambizione della raccolta di saggi di Antonio Tricomi, Fotogrammi dal moderno. Glosse sul cinema e la letteratura (Rosenberg&Sellier, pp. 320, euro 19).

Un libro che si presenta solo apparentemente scisso: da un lato, un vero e proprio découpage della modernità, che Tricomi svolge interrogando quello che è, a suo parere, l’esito egemonico della modernità: il nichilismo, nella sua varietà di forme e contenuti, e anzitutto nella sua dimensione più vicina a noi, quella di una deresponsabilizzazione di massa che non solo ha reso inutile il patrimonio concettuale del passato, ma ha disinnescato il sapere critico e la capacità di argomentazione; dall’altro, lo studio monografico sul noir come particolare forma simbolica della tardamodernità, che in sé contiene non solo la rappresentazione di specifiche condizioni di vita (americane), ma anche un potenziale corredo critico e demistificante. Sicché, partendo dalle analisi teorico-critiche più note e dibattute sui regimi totalitari (numi tutelari di Tricomi restano Adorno, Anders, Arendt e Kracauer), passando (via Gramsci e Gobetti) per l’implicito dannunzianesimo della vita culturale italiana, fino a giungere alle rappresentazioni più attuali del nichilismo massificato, l’autore può allestire un unico tavolo d’indagine che da Hitchcock arriva a Bellocchio, da Haneke passa a Nolan, per spingersi a considerare le grandi opere letterarie della modernità e quelle (forse meno grandi) della più vicina contemporaneità.

Anche in Fotogrammi dal moderno Tricomi sembra svolgere una tesi che negli ultimi suoi contributi pare emergere chiaramente: l’Italia d’oggi veste i panni di una piccola Weimar, sembra cioè replicare le condizioni materiali e politiche che hanno condotto, nel secolo precedente, al totalitarismo e alla realizzazione compiuta delle derive nichilistiche. Il potere spettacolare dei tempi nostri – di cui Tricomi prende in considerazione non poche rappresentazioni filmiche (in particolare, Sokurov e i suoi Moloch, Taurus e Il sole) – integra nel suo discorso egemonico gran parte dei meccanismi di asservimento della modernità, ma fa sua l’ulteriore arma dell’eternizzazione o della divinizzazione del dominio, ora capace di garantire, al prezzo di una generale frustrazione del desiderio e di un significativo eccesso di asservimento, isole di benessere e di piacere ai suoi subalterni, in tutto e per tutto disposti a glorificarne le istanze e a ritenere normali i suoi processi. Ne consegue una stabilizzazione normativa del potere che disinnesca quell’arsenale critico che, nel bene o nel vale, la modernità ci ha consegnato.

È dunque un sentimento disilluso di realistica preoccupazione ad animare le pagine di questo libro, che pure risponde, nel suo porsi come documento di un approccio teorico-critico oggi troppo stesso dimenticato, a un desiderio di mantenere vive le condizioni e le premesse di un sapere non amministrato.