Il clamore del successo della seconda serie televisiva sul vicequestore Rocco Schiavone sta lasciando il posto all’attesa per la terza serie, anche se impazza la discussione sulla bravura (nessuno ne ha mai dubitato) o meno dell’attore Marco Giallini, che rende realistico e fascinoso un personaggio complicato come può essere uno sbirro bravo, un po’ sporco e molto, molto maschilista.
Sta di fatto che il creatore di carta di Schiavone, lo scrittore Antonio Manzini, ha mandato alle stampe il nuovo romanzo (Fate il vostro gioco, Sellerio, pp. 391, euro 15), che prosegue là dove il precedente si interrompeva. La poliziotta talpa, che ha tradito Schiavone, ha chiesto e ottenuto il trasferimento, la carogna Baiocchi è diventato un pentito dei servizi ottenendo favori e un regime carcerario light e si ipotizza di breve durata. Lo scenario del romanzo però è il Casinò di Saint Vincent, luogo dove si concentrano tossici del gioco d’azzardo e riciclatori di denaro sporco. La morte di un croupier rompe il consolidato tran-tran di dolore e affari facili.

L’ASPETTO più interessante del romanzo non è tuttavia l’omicidio, bensì il mutamento impresso al personaggio di Schiavone. C’è bisogno di dare una svolta al suo personaggio. Deve cioè definitivamente prendere congedo dal passato, dai fantasmi che abitano nella sua testa. Manzini è consapevole della posta in gioco, perché ne va della credibilità o meno del futuro del personaggio.
Tratteggia quindi la solita figura brusca, cinica, disincantata, scaltra, nichilista. Ma specifica che quelle sono maschere. Per il nuovo Schiavone si dovrà comunque attendere il successivo romanzo, sicuramente. Ma molti passi di presa di distanza dal passato sono qui presi e consumati.
La ludopatia, l’azzardo istituzionale (il casinò è pubblico), il riciclaggio sono elementi noti. Manzini li mette in scena bene. Così come mette bene in evidenza le trappole che possono scattare per «intortare» anche un poliziotto in cerca del poker adrenalinico.
Tutto scorre bene, tra sesso consumato come se si bevesse una bevanda ghiacciata d’inverno, scorribande poliziesche per la valle, meste visite a Roma per la difficoltà di mantenere saldi i rapporti di amicizia con la «famiglia» di elezione di sempre e dove tutto deve però essere predisposto per lasciare definitivamente la città che ha visto Schiavone diventare adulto, uomo maturo, vicequestore. La presa di congedo dalla moglie – ammazzata ormai sei anni prima – è dolorosa, ma necessaria.

IL MISTERO dell’assassinio è quindi l’aspetto meno importante, perché il legame tra riciclaggio e morte del croupier è troppo confuso per essere soddisfacente. E questo per il vicequestore Schiavone, cioè per uno che della chiarezza sul lavoro – seppur nella sua confusione esistenziale – ne fa un tratto distintivo, significa ripartire da zero.
Per il momento possiamo sorridere ai flame della Rete sul paragone di Giallini con Robert Michtum, Humphrey Bogart, Jack Nicholson o chissà altro attore yankee che ha prestato il suo volto al detective Marlowe, che con Schiavone ha però ben poco in comune.