Il lemma più diffuso del lessico gramsciano è indubbiamente «egemonia», ma alla parola non sempre corrisponde lo stesso concetto. Il problema è presente persino in Gramsci, pensatore che non procede in modo assiomatico e definitorio. Per aiutarci a comprendere la parola e il concetto, Giuseppe Cospito ce ne offre una sintetica storia in Egemonia. Da Omero ai Gender Studies (il Mulino, pp. 180, euro 14), da cui emerge in primo luogo una costante: la polisemicità del termine, il suo carattere sfuggente, fin dai tempi delle polis antica.

Nato in ambito greco, hegemon indica il capo militare, ma hegemonia diviene presto equivalente di predominio. Definisce una forma di potere diversa da quella orientale fondata sulla forza. La dimensione del consenso è fondamentale, ma non unica. E comunque le accezioni sono variegate.
In Aristotele già si trova «egemonia politica»: una leadership che riconosce ai sottoposti pari dignità. Questo terreno comune, questo riconoscimento reciproco fra dirigenti e diretti, mi pare un tratto importante, destinato a durare.

È QUI IMPOSSIBILE SEGUIRE Cospito in tutti i sentieri che percorre alla ricerca della parola egemonia, o anche del solo concetto. Come nel caso dell’antica Roma: in latino il termine non trova traduzione, ma il dominio romano non è senza consenso. Seneca lo paragona all’ape regina che governa l’alveare pur priva di pungiglione, sulla sola base dell’autorità. Nel Medio Evo, con le istituzioni comunali riemergono elementi di «potere egemonico». Su Machiavelli e Guicciardini ha scritto lo stesso Gramsci: essi non conoscono la parola ma ne esprimono il concetto, nella figura del Centauro, o nella coppia armi-religione.
Il termine ricompare fra ’700 e ’800, soprattutto in tedesco e in italiano: si parla di egemonia della Prussia o del Piemonte. È tra gli altri Gioberti a mettere «l’accento sugli aspetti consensuali dell’egemonia».

NEL DIBATTITO MARXISTA russo, Plechanov per primo usa il termine per indicare la direzione del processo rivoluzionario da parte del proletariato. Per i bolscevichi esso significherà la direzione dei contadini da parte degli operai (mentre Bogdanov e Lunacarskij insistono sugli aspetti culturali).
L’egemonia torna con forza negli anni della Nep. Nel suo soggiorno in Russia (1922-23) Gramsci fa suo il concetto, anche se Cospito nota come sia presente già negli scritti torinesi – pur relativizzando l’influenza sul giovane del «prestigio» linguistico. Gramsci usa il termine in senso leninista nel 1924-26: la classe operaia deve superare il «corporativismo» e tutelare l’alleanza coi contadini.
Nei Quaderni vi è una «dilatazione, quantitativa e qualitativa, del concetto di egemonia». Cospito ne esplora l’utilizzo, i significati diversi.

Per l’autore Gramsci, nella sua lotta teorica contro l’economicismo, vede i soggetti sempre meno determinati dalla struttura, con «una progressiva perdita d’importanza del ruolo della classe rispetto a quello degli intellettuali», che «rende possibile un nesso meno meccanico tra il piano economico e quello egemonico».
Credo sia vero, ma a mio avviso l’analisi gramsciana, nel suo progredire, affina, non contraddice, quella classista dei primi quaderni. L’egemonia è sempre anche economica. Fondamentale è poi il concetto di «apparato egemonico», nonché il «rapporto pedagogico» che – ricorda Cospito – si svolge non solo a scuola, ma in tutta la società.

NEI CAPITOLI FINALI si dà conto solo per cenni di alcuni usi del concetto dopo Gramsci: dalla lettura liberale di Bobbio a quelle dei comunisti italiani, dal marxismo francese e inglese agli autori latinoamericani, fino alla ridefinizione di Laclau e Mouffe (1985), per cui la direzione intellettuale e morale si esercita soprattutto sul piano discorsivo. Fino alla odierna «egemonia di genere» nei gender studies.

Certo, come Cospito conclude, Erodoto e Tucidide, o Lenin e Gramsci, sarebbero stupiti nel vedere simili sviluppi. Di un concetto tanto diffuso è inevitabile avere usi diversi. È un indubbio sintomo di vitalità.
Resta importante essere consapevoli delle diverse declinazioni che ha conosciuto, e cosa Gramsci volesse realmente dire con esso. Anche in questa operazione di necessaria contestualizzazione il libro di Cospito è assai utile.

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SCHEDA. Un inedito su «Critica Marxista»

È stato di recente trovato sulla «Pravda» del novembre 1922, e viene ora pubblicato sul n. 3/2021 della rivista «Critica Marxista», un breve articolo di Antonio Gramsci inedito in italiano. Lo scritto affronta la situazione del fascismo, della borghesia italiana e dei comunisti dopo la Marcia su Roma ed è accompagnato da un testo di inquadramento storico scritto da Guido Liguori e da Natalia Terekhova, studiosa russa che ha scoperto l’inedito e che lo ha tradotto per la rivista.