Shut up, mister Conte. Anzi, silenzio. Perché il commissario tecnico azzurro avrà anche studiato l’inglese in questi mesi, in vista della Premier League, al Chelsea, una volta finiti gli Europei francesi, ma anche l’italiano rende bene in questa circostanza. Sarebbe stato meglio il silenzio, piuttosto che ricoprire di guano la maglia azzurra, la Figc, il pallone italiano, prima di prendere l’aereo per Londra. Ma ormai è fatta, altri tre mesi e spiccioli, poi il divorzio, ognuno per la sua strada.

Due giorni fa Conte ha ufficializzato l’addio alla panchina azzurra paragonandola a un garage, in cui sarebbe stato parcheggiato (a 4,1 milioni di euro l’anno, mai nessun selezionatore azzurro ha avuto una busta paga così generosa) per vari mesi, tra gli impegni dei suoi calciatori con i club. Un’uscita sbagliata, per tempi e modi, un linguaggio che svilisce l’Azzurro, in verità danneggiato anche dall’atteggiamento della Lega calcio, dall’egoismo dei club che vivono la Nazionale come uno spiacevole contrattempo, caso isolato in Europa, nel mondo.

Nazionale uguale garage, senza rispetto per uno dei (pochi) simboli che unisce, o quantomeno univa il Paese. Aveva richiamato il valore della maglia azzurra Conte, della patria, rimproverando con assenze in azzurro Balotelli e Insigne per il poco amore mostrato verso la Nazionale. Invece il primo a stufarsi è stato lui.
E Conte ha sbagliato anche nei confronti della derelitta Figc, con Carlo Tavecchio che per permettersi il suo stipendio da allenatore top era pronto a chiedere una colletta, creare un crowdfunding con petizione su Change.org pur di vederlo sulla panchina azzurra, gettando fumo su Optì Pobà, il razzismo, le polemiche.

E che l’ha difeso anche sul processo che vede il ct a giudizio, processo penale, per la vicenda Calciopoli, per frode sportiva quando sedeva sulla panca del Siena. Soprattutto, Antonio Conte ha peccato verso gli appassionati di pallone, in buona parte – il riferimento è ai tifosi che non vedono di buon occhio la Juventus ma che avevano investito su Conte, sui suoi successi, sull’etica del lavoro.

Gli mancava l’erba, ha spiegato il ct, lo spogliatoio, le sfide quotidiane. Ha rivendicato la sua trasparenza (forse non era il caso, considerando la situazione processuale che pende su di lui). Voleva gli stage, Conte, una presenza fissa della Nazionale nel menu dei suoi calciatori e su questo si era impegnata la Figc, contando sullo spirito italico dei club, della Lega. Che non c’è, non c’è mai stato.

Su stage e più spazio alla Nazionale è andato a sbatterci anche Arrigo Sacchi, oltre venti anni fa, dopo la rivoluzione vincente al Milan, con un portfolio di successi, nazionali e internazionali, decisamente più corposo di quello di Conte, congedando la figura del selezionatore, come Azeglio Vicini, Cesare Maldini, anche Marcello Lippi, gestori, non insegnanti di calcio, troppo poco tempo a disposizione, pochi i talenti da plasmare.
Purtroppo in Italia non va come in Spagna e Germania, dove la Nazionale esprime, anzi sublima le politiche federali, tra strutture e tecnici, per creare talenti.

Qui funziona così, Conte lo sapeva, ha deciso di lasciare per il Chelsea e non c’è nulla di diabolico ma il grido di dolore sullo stato di salute dell’Azzurro, a fine percorso, a poche settimane dagli Europei appare fuori tempo massimo e anche pericoloso, una giustificazione troppo a portata di mano per l’eventuale insuccesso francese, con l’Italia non messa benissimo nella griglia di partenza.
Anche perché Conte pare abbia dimenticato, nonostante i suoi proclami di guerra, che dal garage la Nazionale sta per uscire per sfidare Inghilterra e Germania..