Ha ventidue anni Antonio Canova quando, ricevuto nel 1779 a Venezia un pagamento di cento zecchini per Dedalo e Icaro, decide di usare il primo compenso della vita per andare a Roma. Qui, in visita al cortile del Belvedere, il suo compagno di viaggio, Giannantonio Selva, riferisce che «…sembrava quasi pazzo a chi non lo conosceva; si fermava all’Apollo; correva al Laocoonte pareva che in un momento succhiar volesse quelle bellezze…». Agli anni successivi e fino alla morte, avvenuta nel 1822, è dedicata Canova Eterna Bellezza (Museo di Roma, Palazzo Braschi, fino al 15 marzo 2020).

LA ROMA che si trova davanti è quella delle antichità famosissime, la città nella quale Winckelmann fino a qualche anno prima dissertava di arte greca col cardinale Albani, passeggiando nei viali di lecci della villa in mezzo a sarcofagi e urne – e come non ricordare in quella collezione il meraviglioso Antinoo amato dall’imperatore Adriano e cantato da Marguerite Yourcenar -, una città cosmopolita, visitata da viaggiatori, artisti e scrittori di tutta Europa (Madame de Stael, Goethe, Stendhal, Gavin Hamilton, David che vince il Prix de Rome nel 1774), una città infine che stava per essere invasa dai francesi e che di lì a poco avrebbe perso, col trattato di Tolentino, e in parte provvisoriamente, tanti capolavori dell’arte antica e moderna. Canova è in fibrillazione e le prime idee per il sepolcro di Clemente XIII (1783-1792) portano in sé traccia dei tumuli etruschi ma anche di qualche visita a Cecilia Metella e al suo fregio a festoni. Poiché però il concetto era quello mai di copiare semmai di reinventare e variare l’antico imitandolo, ecco l’idea canoviana. Il genio funebre – un bellissimo giovane efebo – si appoggia malinconico alla fiaccola rovesciata: un «…génie de la Douleur…», dice Madame de Stael.

NEL 1797 INIZIA a compiersi la grande emorragia di opere per la quale, qualche anno dopo, Pio VII e il segretario di Stato Ercole Consalvi, investono Canova del ruolo di mediatore: sua funzione sarà quella di trattare il ritorno in patria dei tanti capolavori. Si decide anche, proprio per dare una risposta sfidante a quello che sembrava il collasso dell’arte italiana, di acquistare, dello stesso, con la coppia dei Pugilatori Creugante e Damosseno, il Perseo trionfante, per metterlo proprio sul piedistallo, vuoto, dell’Apollo Belvedere che aveva preso il volo per Parigi. Quando il padovano Papafava chiede a Canova di creare, nel suo palazzo di città attraverso l’utilizzo di gessi, uno scenario di permanente confronto fra antico e moderno, Canova non ha dubbi.

I GESSI DELL’APOLLO, assieme al Gladiatore Borghese saranno fronteggiati da quelli del suo Perseo trionfante e del Creugante. Ricostruita in mostra, la sala «dei paragoni» ci restituisce quel momento speciale di dialogo permanente fra Antico e Moderno. Irresistibile anche seguire il fil rouge dei bassorilievi presenti a Palazzo Braschi, da Socrate che difende Alcibiade che, nel 1801, lo scultore stesso regala all’Accademia di San Luca – due gruppi di combattenti si fronteggiano con il retro della scudo, brandito dal filosofo, che diventa il perno della composizione, – ai tre bassorilievi, superstiti di dieci, destinati al salone di villa Torlonia sulla Nomentana, ritrovati in un sotterraneo del teatro: sui fondi scabri i movimenti e le posture hanno quella solenne grandiosità che li rende indimenticabili.

LA FIGURA FEMMINILE piangente ritratta di profilo nel bassorilievo della Stele Volpato (presente in mostra il gesso preparatorio provvisto dei ben noti punti metallici) ci riporta alla giovane accoccolata con le guance solcate da lacrime, il marmo con la Maddalena penitente della quale si ricorderà Hayez trentanni dopo. Nel 1802 Pio VII nomina Canova Ispettore generale di tutte le belle arti: la tutela del patrimonio artistico in quanto bene della comunità, l’acquisizione di nuclei collezionistici – gli ottanta cippi funerari Giustiniani donati ai Musei Vaticani -, la formazione di giovani artisti attraverso l’Accademia di San Luca sono solo alcune fra le azioni e le idee portate avanti da Canova, instancabilmente, fino al 1815, quando parte per Parigi con il compito di riportare in Italia quanto più possibile: su 506 pezzi soltanto 248 torneranno in patria.