La più bella sorpresa delle imminenti elezioni comunali è Antonella Bundu, a giudicare dal successo delle iniziative elettorali che la stanno vedendo protagonista. L’unica candidata donna alla guida di Palazzo Vecchio, nera e cosmopolita, ha raccontato anche al quotidiano inglese The Guardian perché ha deciso di gettarsi nella mischia: «Fino a pochi mesi fa non l’avrei mai pensato. Ma poi ho deciso di impegnarmi in prima persona, per combattere questa marea di razzismo che sta crescendo di giorno in giorno nel nostro paese».

Antonella Bundu, una fiorentina a tutti gli effetti?

Certo. I miei genitori si sono conosciuti grazie al sindaco La Pira, che organizzava gli incontri fra gli studenti di tutto il mondo. Era un’altra Firenze, mio babbo veniva da Freetown e studiava architettura, mia mamma fiorentina studiava matematica. Sono nata qui, poi loro andarono a lavorare in Sierra Leone, così ho trascorso l’infanzia in parte in Africa e in parte a Firenze, dove facevo le scuole a Coverciano. A 17 anni ci trasferiamo a Liverpool, nel quartiere di Toxteth. Un quartiere difficile, al 90% abitato da neri, molto povero, teatro di un riot passato alla storia. Facevo la bibliotecaria, lì ho capito che dovevi prendere parte: così invitavo i miei coetanei originari dei Caraibi o dell’Africa a studiare, perché cercassero di capire la realtà in cui tentavano, con grandi difficoltà, di inserirsi. Alla fine degli anni ’80 sono tornata a Firenze, da allora vivo qui.

Puoi spiegarci la genesi della tua candidatura?

Mi invitano al cinema Alfieri, in una iniziativa dell’associazione Firenze città aperta, in cui 16 persone devono intervenire su una parola simbolo: la mia parola era «nera». Alla fine mi hanno chiesto se me la sentivo. Ho detto di sì, perché mi è piaciuta l’idea di dare voce a quella che è la vera alternativa: perché qui a Firenze siamo amministrati da forze politiche che si dicono di centrosinistra, ma fanno politiche di destra, ad esempio le zone rosse per i cosiddetti «indesiderabili».

Non hai avuto esitazioni?

All’inizio ero spaventata, poi ho visto che ci sono tre liste che mi sostengono (Firenze città aperta, Sinistra italiana, Potere al popolo), tutte con valori di sinistra, e allora ho fatto il salto. Ora sto incontrando tante persone, comitati, associazioni, e vedo entusiasmo. Perché per troppo tempo ci è stato detto che ci voleva il «voto utile», ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Invece non dobbiamo avere paura delle nostre idee, siamo di sinistra e abbiamo un buon programma di sinistra.

Che città vedi, e che città vorresti vedere?

Vedo una Firenze chiusa in se stessa, con le zone rosse, piena di telecamere, ossessionata da una presunta «sicurezza» che finisce solo per mettere gli ultimi sotto il tappeto. Anche i turisti non sono visti come viaggiatori, sono usati come consumatori di una cultura, di un’arte che è qui da secoli. Per questo Firenze dovrebbe essere attenta alla contemporaneità, per costruire cultura nuova e non soltanto per consumarla. Dovremmo dare sfogo a tutta la nostra creatività, per costruire qualcosa di duraturo e non di effimero.

Ti aspettavi di essere accolta con così tanto entusiasmo?

No. Ci ho pensato su, credo sia dovuto al fatto che, se ti presenti con le idee chiare, e con proposte che vanno in una direzione precisa, come il diritto alla casa e la difesa del welfare e dell’ambiente cittadino, sostenendo che i diritti civili e sociali sono per tutte e tutti, senza le ambiguità che questa amministrazione ha cavalcato negli ultimi anni, allora diventi credibile. Dai una speranza di un domani migliore, più equo e meno ingiusto. Vedi, per il 25 Aprile il sindaco Nardella ha fatto un bel discorso, alla fine mi sono complimentata. Poi però gli ho detto che si deve passare dalla teoria alla pratica, e che le sue parole devono essere declinate nella realtà quotidiana della città. Per questo noi corriamo per vincere, non per «disturbare» gli altri.

Sei figlia di una Firenze particolare, quella lapiriana. Che cosa ha significato per te?

Io sono venuta al mondo grazie a quelle visioni, quelle aperture cosmopolite che La Pira perseguiva con tenacia, già immaginando la Firenze città aperta del futuro, un patrimonio dell’intera umanità. Al tempo stesso il La Pira sindaco manifestava davanti ai cancelli delle fabbriche, difendendo il lavoro degli operai, della sua gente. Ecco, in un momento storico in cui prevalgono le chiusure, penso che quel sentimento generalizzato di speranza, che quell’uomo e la sua amministrazione riuscivano a dare, debba essere perseguito con ancora maggior forza.