Nel film Alpha Dog (2006) Anton Yelchin ricopre il tragico ruolo di Zach, un quindicenne che diventa vittima di una rissa fra uno spacciatore e suo fratello. Il ragazzo in una scena ormai troppo angosciante parla del suo futuro, ignaro che i suoi rapinatori lo stanno portando alla morte. ‘Vorrei imparare a suonare la chitarra,’ dice. ‘Fa schifo che non riesco a fare le cose.’ Quando Anton Yelchin è morto il 19 giugno di questo anno a ventisette anni, sapeva suonare la chitarra, e bene: sapeva fare tantissimo e aveva già dimostrato un enorme talento che la sua morte in un incidente bizzarro – i dettagli sono ancora da chiarire – ci fa rimpiangere ancora di più. Aveva un gruppo punk e interpretato il ruolo di Pat, il bassista del film Green Room (2015). L’anno scorso a Cannes, ho incontrato Anton per parlare di questo thriller, che racconta una situazione da incubo quando Pat e la sua band punk si trovano intrappolati nel retroscena di un club neo-nazista dopo aver scoperto un cadavere. La giornata era splendida, lontana dal terrore dei neonazisti americani – caldo, sole, il sud della Francia – e Anton era di buon umore con voce rauca, ma piena di entusiasmo ed energia. Il cast aveva festeggiato dopo l’esordio del film e l’accoglienza positiva da parte della stampa e Yelchin ha parlato del suo amore per il punk, citando Bad Brains, Dead Kennedys ed i Misfits.

Per Anton la musica e il cinema erano due facce della stessa medaglia di creatività. ‘L’ energia di avere un gruppo è molto speciale, si trascorre tanto tempo e si fa un sacco di roba insieme. E’ molto simile ad una troupe di attori,’ mi ha detto. Anton ha fatto il suo primo film a soli nove anni ma non era la tipica child-star. ‘Sono stato fortunato perchè un sacco di persone cominciano presto in questo lavoro spinti dai loro genitori, ma i miei non mi hanno mai spinto. Mi indirizzavano invece verso lo sport.’ I suoi erano infatti famosi pattinatori su ghiaccio dell’allora Leningrado che portarono il figlio negli Stati Uniti dove lui ben presto dimostrò di possedere altri talenti. Ma la Russia rimane un’influenza importante. ‘Parlo Russo. Ci sono andato a 18 anni per un film che stavo facendo con Roland Joffe. E ci sono tornato per Star Trek.’

Mi sento connesso all’atmosfera, alla natura emozionale. Le cose che leggo in Delitto e Castigo, non so se è perchè è Dostoevski e tutti la pensano così, ma nel senso di sentirmi orgoglioso di un patrimonio culturale questo è ciò che mi rende orgoglioso. Ci sono certe cose della cultura russa che riconosco in me stesso. E’ una sovrabbondanza di emozioni. Si vede anche in Tarkovski. Nonostante i suoi film siano molto intellettuali, al centro rimangono incredibilmente emozionanti. L’emozione è circondata dalla magia e dal mistero della sua arte cinematografica ma quando li guardo mi commuovo perché sono film incredibilmente pieni di passione, sulla nostra esistenza, sulla nostra presenza sulla terra.’

Parlava di letteratura russa anche con Patrick Stewart, sua co-star di Green Room e (ormai ex-) membro dell’ equipaggio dell’ USS Enterprise. Nel nuovo thriller, Stewart ha un ruolo molto diverso da quello del buon capitano Jean-Luc Picard: è Darsy, il capo dei Nazi Skin che minaccia il gruppo di morte. ‘Era così intenso che era difficile chiacchierare dopo,’ dice Anton. ‘Ma quando ci sono persone che hanno fatto quello che tu vuoi fare per così tanto tempo, li osservi per vedere come vuoi diventare tu nel futuro, così il modo di fare di Patrick è stata per me una fonte di ispirazione.’

Yelchin si stava costruendo un ottimo curriculum con ruoli in film piccoli ma con registi di grande prestigio come Jim Jarmusch, Paul Schrader e Joe Dante insieme a blockbuster come Terminator Salvation e nel 2009 il primo nuovo Star Trek, in cui lui recitava il ruolo del russo (naturalmente) Pavel Chekov. Quando parliamo, Anton sta per cominciare l’ultimo film, Star Trek Beyond, appena uscito nelle sale italiane. Con la fama, arrivano anche le action figures dei personaggi. Gli chiedo se esiste un Chekov.

Ce n’è una di me. E’ strano. I miei genitori ne hanno una, e io ho un piccolo giocattolo che ho preso da Burger King. Si preme un pulsante e lui parla.’

Ma a parte i giochini di merchandising, Anton apprezza l’opportunità offertagli da Star Trek.

E’ fantastico. Stiamo per fare quello nuovo fra poco. Sono molto fortunato a fare parte di questo. Non ho un genere di film preferito, è la trama che conta. Ho appena fatto un film in Portogallo in gennaio, un film piccolissimo, con un centesimo del budget, anzi scusa un millesimo di quello di Star Trek. E quindi poi è bello fare Star Trek e pensare che potremmo fare cento film con gli stessi soldi. Ci sono certi film che non si possono fare per un quarto di millione di dollari. Se facessimo Star Trek con un quarto di milione di dollari sarebbe molto diverso; saremmo solo noi su una scenografia di cartone.’

Queste differenze offrivano a Yelchin la possibilità di imparare. ‘Sono fortunato a poter viaggiare fra questi mondi diversi. Si impara qualcosa da tutto. Sono fortunato a poter vedere i tecnici che lavorano a livelli così alti di magia tecnica, orchestrando queste scenografie enormi, e poi faccio un film intimo come Green Room e vedo professionisti che lavorano con un altro tipo di maestria, su un’altra scala ma con tantissima abilità e mi ritengo fortunato di poter osservare il tutto.’

Anton Yelchin stava ancora imparando e aveva ancora un sacco di cose da fare.