Non solo Google, ora anche Apple, Amazon e Facebook sono sotto accusa da parte delle autorità americane, e l’effetto diretto di questa accusa è stato il crollo dei titoli a Wall Street. Solo poche settimane fa sarebbe stato difficile credere che Washington avesse la volontà politica di fare un passo del genere, con l’amministrazione di Donald Trump e la metà del Congresso in mano ai repubblicani, i quali tradizionalmente favoriscono una supervisione aziendale più negligente di quella richiesta dai democratici.

Nella scorsa settimana, tuttavia, si sono visti chiari i segnali che l’era della deferenza di Washington nei confronti delle Big Tech sta svanendo; giovedì la senatrice del Massachusetts e candidata alla presidenza Elizabeth Warren, ha fatto istallare a San Francisco un cartellone pubblicitario con scritto «Breakup Big Tech», Rompere Le Grandi Compagnie Tecnologiche, proprio vicino a una stazione dei treni per pendolari che si recano a lavorare nelle Big Tech di cui sopra.

Venerdì, il Wall Street Journal ha riferito che il Dipartimento di Giustizia (in mano repubblicana) sta preparando un’indagine antitrust sulle pratiche commerciali di Google. Domenica, il Washington Post ha riferito che la Ftc, Federal Trade Commission, potrebbe essere pronta a dare uno sguardo alle potenziali violazioni di Amazon in tema di antitrust.

Democratici e repubblicani sono d’accordo su poche questioni, ma il disagio con l’area tecnologica ha compiuto il miracolo visto che entrambe le parti tendono a non gradire le Big Tech, anche se per ragioni diverse e con  proposte per risolvere i problemi, anch’esse diverse.

I repubblicani sostengono che le compagnie della Silicon Valley siano finanziate e gestite dalle sinistre liberal prevenute e censoree con Ii conservatori, mentre per i democratici le Big Tech sono semplicemente troppo potenti e impediscono la concorrenza, penalizzano i consumatori e interferiscono con gli sviluppi sociali. L’incubo della Silicon Valley, in questo momento storico, è il ritrovarsi in mezzo a un’elezione presidenziale in cui entrambe le parti competono su chi può essere più duro con loro.

Non sembra che le agenzie abbiano aperto indagini ufficiali, per ora, ma il controllo di Washington potrebbe portare anni di mal di testa alle aziende in questione, sollevando la prospettiva di mosse volte a smembrare le compagnie troppo grandi in divisioni più piccole, ed a varare nuove leggi volte a limitare le dimensioni delle Big Tech.

«Un piccolo numero di piattaforme dominanti e non regolamentate ha un potere straordinario sul commercio, la comunicazione e l’informazioni on-line – si legge nella dichiarazione del comitato giudiziario della Camera, approvata miracolosamente in modo bipartisan – Basandoci sulle segnalazioni investigative e la sorveglianza di politici ed istituzioni internazionali, ci sono preoccupazioni che queste piattaforme abbiano l’incentivo e la capacità di danneggiare il processo competitivo».

«Tutto questo riguarda il fatto che dobbiamo riportare il concetto di concorrenza in questo spazio», ha dichiarato il democratico del Rhode Island David Cicilline, durante una conferenza stampa sul tema.

Cicilline è il presidente del sottocomitato giudiziario occupa di antitrust, e per i prossimi 18 mesi ha già previsto una serie di audizioni, testimonianze di dirigenti delle aziende principali, nonché mandati per la consegna di documenti aziendali interni.

Cicilline ha dichiarato che l’inchiesta si concentrerà sulle principali piattaforme digitali, iniziando da quelle già nel mirino del Comitato della Camera: Google, Apple, Facebook e Amazon
Se questa indagine così straordinaria dovesse riscontrare irregolarità, i deputati prevedono a quel punto il coinvolgimento del Dipartimento di Giustizia e della Ftc.