Otto anni fa entrava in vigore una delle leggi più liberticide in materia di droga mai approvate in un regime democratico, la così detta Fini-Giovanardi. Otto anni dopo gli effetti sono gli occhi di tutti: criminalizzazione dei consumatori di sostanze, aumento degli ingressi in carcere per reati legati agli stupefacenti, nessun serio intralcio agli affari delle narcomafie. Una legge nata da una forzatura istituzionale, inserita d’urgenza nella decretazione legata alla sicurezza delle olimpiadi invernali di Torino.

La Fini-Giovanardi nasce nel clima della guerra alla droga di Bush junior che dettava la linea in tutto il mondo. Ora che quella guerra è stata persa sonoramente, il dogma del proibizionismo viene messo in discussione a livello globale. Negli Stati uniti diversi stati vanno verso la legalizzazione e la vendita di marijuana sotto il controllo dello stato, come accade da qualche settimana in Colorado, l’Uruguay di Mujica ha intrapreso con decisione la stessa strada. Obama confessa candidamente di aver fumato spinelli, peccato di gioventù ammette, e apre al dibattito sulla legalizzazione.

L’11 febbraio la Fini-Giovanardi passerà al vaglio della Consulta, mentre sabato prossimo il movimento antiproibizionista tornerà ad occupare le strade di Roma con una street-parade nazionale. «Sono stati anni di resistenza – racconta Mefisto, una delle voci storiche dell’antiproibizionismo italiano – ma una legge assurda e ingiusta ha creato gli anticorpi a se stessa nella società che l’ha subita. E’ ora di cambiare direzione».

Tutto si è rimesso in cammino lo scorso 15 dicembre quando al centro sociale romano Forte Prenestino associazioni e realtà di base da tutta la penisola si sono incontrate per decidere di tornare in piazza assieme. L’appello «Illegale è la legge» a quel punto ha raccolto centinaia di firme: ci sono personalità dei partiti della sinistra, associazioni antimafia e per il rispetto dei diritti umani, artisti e intellettuali, pazienti che chiedono di avere il diritto di curarsi con l’erba, reti studentesche e sociali. «Il fronte antiproibizionista si è allargato in questi anni, non è più solo lo slogan di una minoranza. Il proibizionismo forse è già minoranza nella società reale anche se non è così nei palazzi», spiega ancora Mefisto aggiungendo che «non basta di certo cancellare la Fini-Giovanardi per ripristinare la situazione precedente, ma questa legge può davvero essere giudicata incostituzionale, come già accaduto in tante sentenze di tribunale. Anche l’Europa ha richiamato il nostro paese perché le Fini-Giovanardi va contro le direttive comunitarie in materia».

Alla conferenza stampa è intervenuta anche Valeria Grasso, imprenditrice siciliana che ha detto no al racket e che ora vive sotto scorta, che ha spiegato le sue ragioni d’adesione alla manifestazione. «Prima l’idea di legalizzare la cannabis mi sembrava una follia, poi mi sono documentata e ho cambiato la mia opinione. La lotta alla mafia si conduce anche attraverso una politica diversa legata alle sostanze». Lotta alla mafia e al narcotraffico, libertà di scelta, crisi economica e possibilità di sviluppo: sono tante le ragioni dell’antiproibizionismo. Tra queste il rapporto tra leggi liberticide in materia di droghe e carcere. Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, sottolinea come «è irrimandabile diminuire il flusso in ingresso nelle carceri, il cosiddetto svuota carceri è assolutamente insufficiente ed è assolutamente necessario modificare la legislazione sugli stupefacenti. E’ un battaglia che si può vincere grazie anche al dibattito pubblico internazionale che si è aperto e al passaggio costituzionale dell’11 febbraio». L’appuntamento è per sabato 8 alla Bocca della Verità, a Roma.